‘Eyes Everywhere’, Simona Calo: “finale a sorpresa con Christopher Lambert”

L’intervista all’autrice del docu-film che esplora il futuro della Società 5.0. Con l’attore di “Nirvana” anche Francesca Inaudi, Fortunato Cerlino e Dean Michael Gregory. Al cinema dal 17 marzo


Un modello in cui la tecnologia avanzata mira a rimettere l’umanità al centro: Simona Calo, autrice di Eyes Everywhere, esplora il futuro della Società 5.0. La sceneggiatura è scritta dalla stessa Calo in collaborazione con “la mente dietro a tutto ciò”, Luca Monaco – anche produttore per BIP.

Il docu-film affronta in modo incisivo e visionario il tema, interrogandosi sul rapporto tra tecnologia e umanità: ci si muove tra realtà e finzione, combinando una narrazione cinematografica con elementi documentaristici, al fine di esplorare il controllo digitale e le sue implicazioni etiche.

Il racconto di finzione è affidato a Christopher Lambert, Francesca Inaudi, Fortunato Cerlino e Dean Michael Gregory, con la fotografia e il sound design a creare un’atmosfera di costante controllo. La regia di Calo è essenziale ed evocativa, capace di restituire visivamente il senso di inquietudine che permea la storia.

Pur trattando un tema complesso, il film riesce a mantenere un equilibrio tra riflessione filosofica e tensione narrativa, senza cadere in un eccessivo didascalismo. Eyes Everywhere solleva domande più che fornire risposte, spingendo chi guarda a riflettere sulla società iper connessa in cui viviamo.

Simona, Eyes Everywhere è un titolo che evoca senso di sorveglianza e onnipresenza dello sguardo. Cosa l’ha ispirata e come ha lavorato sulla meta-narrazione? Cioè, il cinema è sguardo esso stesso, e lei usa questo linguaggio dello sguardo per narrare un’altra forma di sguardo. 

Per il titolo c’è un po’ di ambiguità: è vero volessimo evocare un po’ la sorveglianza perché chiaramente certi sistemi di AI funzioneranno se l’applicheremo, quindi ci saranno cctv un po’ più presenti rispetto ad adesso, però se pensiamo a proteggere la nostra casa o a recuperare il cellulare servono quei mezzi di sorveglianza, come il gps, quindi il titolo rispecchia i pro e i contro, che sono poi quelli che raccontiamo. Non abbiamo voluto prendere una posizione ma abbiamo intervistato degli esperti, abbiamo visto quali possano essere gli enormi vantaggi, soprattutto in alcuni settori come la sanità, ma sottolineando anche i problemi etici, perché stiamo andando in una direzione in cui affideremo tante delle nostre scelte a un’AI, che non ha un’etica umana. Per la parte narrativa abbiamo realizzato una sorta di cortometraggio che intervalla le interviste, raccontando una storia inventata ma a supporto di quello che viene detto dagli esperti: abbiamo diviso il docu-film in capitoli/argomenti e tra l’uno e l’altro c’è una narrazione che introduce l’argomento; stilisticamente parlando abbiamo scelto un filtro, come se il mondo fosse sempre osservato attraverso una cctv, sempre con pro e contro. C’è un po’ un’ambivalenza, questa sorveglianza può essere utile o essere preoccupante, dipende sempre dall’utilizzo che viene fatto.

Il docu-film tocca temi come privacy, controllo e paranoia dell’era digitale. Quanto era imprescindibile inserire una riflessione sociale nel racconto? 

Noi non vogliamo dare delle risposte ma che le persone si facciano delle domande e conoscano meglio l’argomento, l’esempio lampante sono io stessa: prima di collaborare con BIP non sapevo assolutamente niente di AI, non conoscevo nemmeno Chat GPT, ed era qualcosa che mi spaventava tantissimo, vedevo un futuro molto distopico, perché percepivo la tecnologia come qualcosa di molto freddo e poco empatico; mi sono un po’ ricreduta perché per esempio c’è un Paese, l’Estonia, particolarmente più avanti di noi – parliamo di 20/30 anni oltre – in cui tutto è digitalizzato, che però mette davvero l’uomo al centro; la tecnologia è utilizzata davvero… solo come un mezzo per semplificare cose che richiedono molto tempo, così da usare quel tempo con famigliari o amici. Quindi, io adesso ho una visione della realtà un po’ diversa, certo non del tutto troppo ottimistica, perché le cose che non andranno ci saranno, e le macchine saranno da tenere sotto controllo: se una persona ha un pregiudizio e questa persona programma una macchina la medesima avrà il suo pregiudizio; per  esempio, se l’AI viene usata per la selezione del personale e in chi programma c’è un pregiudizio sulle donne quando arriva un cv femminile viene automaticamente scartato. Ci sono luci e ombre e sull’etica: quando ci affidiamo a Chat GPT per chiedere info o fare una consulenza la macchina comincia a conoscerci molto bene quindi, se arrivasse un attacco hacker e volesse ricattare la persona proprietaria dell’account, l’AI saprebbe tutto dell’utente.

Rispetto alla parte finzionale, Christopher Lambert, Francesca Inaudi e Fortunato Cerlino sono gli interpreti principali. Lambert nel nostro cinema è sinonimo di Nirvana, storia di una tecnologia, di un virus e del concetto di coscienza. Il precedente filmico con Salvatores ha influenzato la sua scelta per il ruolo? E, che sguardo e mimica ha chiesto di avere agli attori per restituire l’essenza del suo soggetto? 

No, non l’ho scelto per via di Nirvana ma, certamente, lui è molto interessato al tema dell’AI, quindi quando ha letto la sceneggiatura gli è subito piaciuto il ruolo. Lui fa parte del ‘finale a sorpresa’, per cui le indicazioni sono state quelle di non far capire sin da subito quello che poi è l’epilogo narrativo. Lambert è stato molto interessato e, in generale, ho trovato tutti gli attori molto partecipi e attivi: sono quattro protagonisti e ciascuno con un punto di vista diverso, ma ognuno con un motivo per essere com’è, anche chi fa la parte del cattivo è come se avesse la giustificazione a esserlo e questo aspetto ha fatto sì che loro si ritrovassero nella parte. Nel corto c’è sempre questo equilibrio: come mantenuto nelle interviste così è anche nella parte narrativa.

Il film è un mélange di finzione e documentario: in particolare, il racconto finzionale è un thriller. Perché ha pensato che questo genere potesse raccontare, più di altri, il cuore dell’evoluzione tecnologica e la centralità dell’umano?

Come detto, io personalmente ho sempre avuto una visione distopica e negativa di questo futuro, quindi mi sembrava interessante che anche l’aspetto etico potesse essere messo sul piano dell’intrattenimento, per coinvolgere di più lo spettatore; sono abbastanza certa che persone che non conoscono l’argomento potrebbero avere un po’ la mia visione, per cui potrebbero sentirsi chiamati in causa, ma vedendo tutto il docu-film potrebbero farsi un’idea più realistica di quello che sta già succedendo.

La dimensione visiva e la costruzione dell’atmosfera in Eyes Everywhere hanno un ruolo chiave. Come ha lavorato con il direttore della fotografia per rendere l’idea di uno sguardo sempre presente?

Con il dop ho lavorato molto sul mood dei colori, abbiamo giocato molto sugli interni, che di solito restituiscono un’idea soffocante: all’inizio, infatti, si dà la sensazione di un tempo distopico, invece – sul finale – la scena che riequilibra tutto è in esterni, giocando sulla color correction e sulle luci; io amo molto l’uso delle classical lights, per cui abbiamo utilizzato anche luci trovate sul set, perché penso possano restituire il sentire di quel tipo di futuro misto all’ansia, senza volerla però troppo esagerare. Rispetto a Blade Runner, che ha colori da fantascienza, qui volevamo far capire che questo futuro non fosse troppo lontano, piuttosto sia qualcosa che sta già succedendo, ma ho cominciato con luci più scure per coinvolgere lo spettatore verso qualcosa che potrebbe rivelarsi come molto molto negativo, mentre poi cerchiamo di bilanciare con il finale.

Il concetto di Società Digitale 5.0 prevede un’integrazione sempre più profonda tra intelligenza artificiale, big data e vita quotidiana. Il film riflettere su questi temi anche in modo critico. Pensa che il cinema abbia il dovere di interrogarsi sul futuro tecnologico o crede debba limitarsi a raccontarlo senza giudizi?

Noi non abbiamo parlato di cinema in questo film, ne abbiamo accennato in quello dell’anno scorso: Connected, presente su Prime Video. Il cinema è un settore che sicuramente è già influenzato dall’AI, alcune cose sono state sostituite, si parla di certe sceneggiature scritte da Intelligenza Artificiale, e di certo molto sono chiamati in causa gli effetti digitali: è un argomento che nel settore cinema va tenuto in considerazione, bisognerà adattarsi ad alcune cose. Da sceneggiatrice ho provato l’AI e sono abbastanza tranquilla perché in questo momento non può sostituire lo sceneggiatore, perché non genera un’idea originale, può solo copiare: sicuramente è un tool perché, se voglio scrivere una scena riesco a farlo più velocemente dando un prompt e poi la correggo come preferisco. Non vedo la sostituzione per gli attori ma ho letto un articolo recente per cui Prime pare voglia provare a doppiare i film usando l’AI, per cui il settore doppiatori potrebbe essere un po’ a rischio. È importante imparare a conoscere l’AI perché la conoscenza permettere di usarla come un tool, altrimenti potresti rischiare un giorno di essere sostituito.

Il film esce nelle sale italiane, con Direct to digital, dal 17 marzo 2025.

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17 Marzo 2025

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