Ethan Hawke, il ragazzo che non voleva crescere


E’ una giornata di pioggia scrosciante a far da cornice all’incontro romano, con i suoi fan, di Ethan Hawke, giacca scura, camicia bianca e capelli lunghi un po’ ribelli. Lui arrivato nella Capitale direttamente dalle prove a teatro del suo ultimo spettacolo “The Coast of Utopia” entra nella Sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica, sprofonda su una poltrona gialla e dopo aver dato uno sguardo alla platea, ringrazia il numeroso pubblico che non si è lasciato fermare dalle intemperie ed è lì per sentirlo parlare e vedere il suo nuovo film da regista, il terzo, L’amore giovane (The Hottest State) presentato nella sezione Orizzonti all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, in uscita nelle sale italiane il 23 marzo con Mikado. Attorniato da Mario Sesti e Antonio Monda l’attore, che esordì nel 1985 nel film per ragazzi Explorer, è ospite della manifestazione ‘Viaggio nel cinema americano’ organizzata in collaborazione da Fondazione Musica per Roma, Studio Universal e Cinema. Festa Internazionale di Roma.

C’è un regista che lei considera fonte di ispirazione?
Sicuramente John Cassavetes. Per me è il cineasta americano per eccellenza. Lo ammiro per l’indipendenza e profondità con cui ha raccontato fuori da ogni schema.

Come mai spesso i film a cui ha lavorato da attore e da regista raccontano storie di adolescenti?
Credo che la mia peculiarità sia la totale inabilità a crescere, perciò molto di quello che ho fatto è incentrato sulla crescita. Un viaggio lungo che alcuni non riescono ad intraprendere mai fino in fondo. Anche mentre scrivevo il libro da cui è tratto il mio L’amore giovane, intorno ai miei 20 anni, mi chiedevo spesso quando si diventa grandi. Ed è buffo perché me lo chiedevo ma mi sentivo comunque già adulto. E rivedermi qui mentre recito in L’attimo fuggente mi fa sorridere: credevo di essere grande e indipendente e invece ero un ragazzino alle sue prime esperienze. Anche sessuali.

Lei è diviso tra cinema e letteratura. Cosa le dà l’uno che non può darle l’altra e viceversa?
Lavorare a un film significa condividere tutte le varie fasi con altre persone con cui magari hai anche molto in comune. Scrivere è totalmente diverso. E’ un’esperienza solitaria di cui a volte sento di avere molto bisogno. Ma la mia fortuna sta nel fatto che posso passare da una cosa all’altra.

Dietro la macchina da presa ha imparato qualcosa in più del mestiere di attore?
Ho scoperto un aspetto che mi ha sorpreso. Quando recitavo ho sempre pensato che a creare la vera magia del cinema fosse il regista. Perciò in cuor mio ho desiderato diventarne uno fin dai miei esordi nello spettacolo. Poi però una volta diventato regista ho capito quanto sia determinante il lavoro dell’attore che solo con uno sguardo, un gesto un modo di dire la battuta può dettare lo spirito del film, l’atmosfera.

Quali sono i registi con cui preferisce lavorare come attore?
Andrew Niccol
e Richard Linklater. Sono due artisti molto diversi ma sono un modello di registi indipendenti in America. Niccol (Gattaca, S1m0ne, Lord of War)  usa molto la metafora, l’allegoria trattando temi sia politici che sociali. Linklater (Before Sunrise, A Scanner Darkly) ha invece uno stile meno identificabile: spesso ricorda Fassbinder, ma ha anche la passione del dialogo tipica di Altman e un modo di tratteggiare i rapporti interpersonali vicino a Eric Rohmer. Ho letto spesso sceneggiature scritte da entrambi che purtroppo stentano a diventare film. E’ un crimine!  Comunque con Linklater forse girerò un pellicola nel ruolo di San Francesco, qui in Italia. Faremo dei sopralluoghi ad Assisi appena avrò finito il mio impegno teatrale a New York.

 

Sta per iniziare la proiezione de “L’amore giovane”. E’ contento del suo film?

Sì e non solo per come l’ho girato. Trarre una sceneggiatura da un libro che avevo scritto mi ha dato la possibilità di capire che il romanzo era incompleto. E il film mi ha dato la possibilità di rimediare.

autore
20 Marzo 2007

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