Erri De Luca: “L’età sperimentale non è un prontuario per l’uso della vecchiaia”

Il film di Marco Zingaretti nella sezione Proiezioni Speciali di Trento72. L’intervista allo scrittore napoletano, autore del film, di cui è anche interprete: “La vecchiaia non è una discesa nelle dimissioni, ma una salita verso l’inconosciuto”


TRENTO – Erri De Luca ha scritto L’età Sperimentale, che interpreta, e dentro cui qui s’addentra tra tempo, corpo, vita e morte.

Il film, nella sezione Proiezioni Speciali del 72mo Trento Film Festival, è diretto da Marco Zingaretti.

De Luca, L’età Sperimentale è un film che parla anche di tempo, oltre che di corpo e di identità: qual è il valore che lei personalmente attribuisce al tempo, e che valore le sembra abbia assunto nell’era contemporanea?

Il tempo ha assunto un valore utilitaristico: ‘il tempo è denaro’ si dice continuamente, seppur non lo sia manco un poco, questa è certamente una falsificazione mercantile, di cui l’effetto collaterale è che ‘i pezzi’ che sono un po’ più consumati vengono buttati, si spreca una grandiosa quantità di esperienza accumulata, e dunque eccomi a cercare di smentire.

Nell’investimento del tempo e nella cura di sé, del proprio intelletto, della curiosità, della creatività, c’è anche il tempo che si può dedicare al cinema: lei lo pratica, da spettatore? E qual è lo spirito giusto di fruirlo affinché sia tempo sano, produttivo, di benessere per l’uomo?

È la stessa cosa che si fa con un libro, da lettore: bisogna che quel libro, o quel film, ti dica qualcosa di te stesso, che stava dentro ma che aspettava una chiamata da fuori per affiorare. Dunque, è l’esperienza emotiva di riconoscere qualcosa di interno a sé che viene improvvisamente rivelata, e le storie riescono a fare questo effetto, qualche volta. Io sono sia lettore che spettatore assorbente di queste possibilità, ma se poi non si verificano, che sia libro o film, non sono costretto a finirlo.

Oltre che sul tempo, L’età sperimentale è un film sul corpo, sul valore dello stesso per l’individuo: il corpo, per l’essere umano odierno, è uno strumento da curare, modellare e usare nella società, o è un dono offerto dalla Natura con cui l’uomo deve scendere a patti perché imprevedibile, per esempio rispetto alla malattia?

Il corpo è mooolto vezzeggiato in questa nostra civiltà moderna, davvero molto vezzeggiato, dunque, la sua cura fa parte di una religione moderna. Io ho incontrato per caso la pratica della scalata della montagna e questa mi ha fornito una disciplina fisica, che è quella di pesare poco per esempio: ecco, L’età sperimentale non è certamente un prontuario per l’uso della vecchiaia, ma è la mia esplorazione personale della vecchiaia. Una cosa la posso raccomandare, a prescindere: a questa età bisogna portare più anni e più chili.

Quando ha scritto il film, a chi pensava? Era per sé, era un testamento?

Pensavo a quelli della mia età (Erri De Luca è nato nel 1950, nrd), i coetanei, o… ‘peggio’.

La montagna è spazio in cui confrontarsi col silenzio e con la bellezza della Madre Natura, ma anche in cui rimettere al proprio posto se stessi dinnanzi alla maestosità delle vette: quanto incide sulla mente e sul corpo dell’uomo, su di lei in particolare? Nel film la vediamo scalare delle verticalità importanti, in un confronto direttissimo tra roccia e pelle.

La maestosità era la norma del rapporto tra la specie umana e il pianeta. La condizione di inferiorità nei confronti dell’immensità dello spazio intorno – anche schiacciante – è la nostra esperienza genetica; adesso siamo in una condizione in cui possiamo, noi, calpestare il pianeta, essere noi maggioranza dei luoghi, ma in montagna – o anche in mare aperto – recuperiamo questa condizione primaria e il corpo, dal punto di vista dello scheletro, si accorge di essere esposto; questa esposizione, che non è sempre cosa gradevole, entra in contatto con tutti i sentimenti dell’impatto, dell’urto, della relazione con questo ambiente, che non è lì per accoglierci o applaudirci. Questa esperienza fa molto bene alla testa: essere così piccoli nell’immensità ci dà la misura della nostra taglia, piccola, che però… non può essere ridotta a meno.

Lei ha affermato – e si legge sulla locandina del film – ‘la vecchiaia di chi mi ha preceduto non mi fa da modello e non mi prepara a niente’: davvero non esistono, nella Storia dell’uomo, o anche nella storia della sua famiglia, dei ‘grandi vecchi’ a cui ispirarsi o comunque a cui guardare per imitare o per evitare di imitare?

Noi ci troviamo in una condizione in cui l’età media è raddoppiata nel corso di un secolo, c’è una quantità di persone che vivono molto di più, e questo non esisteva prima: il vecchio era un residuo del passato, per cui adesso ci troviamo in una condizione nuova, siamo tutti – noi di questa età – entrati in un’età sperimentale.

Il tempo usato dall’uomo, e non solo quello della vecchiaia, è qualcosa che necessariamente si confronta con la vita e con la morte: lei la teme, ne ha paura, la incuriosisce, l’approccia spiritualmente, come un passaggio o come una fine?

Per me la morte non ha a che vedere con l’esperienza della paura, non ho questo sentimento. Non che sia l’elisir di lunga vita il comportarsi in questa maniera, una maniera anche più avventurosa rispetto alla gioventù, perché la vecchiaia non è una discesa nelle dimissioni, ma una salita verso l’inconosciuto. Dunque, in questo passaggio c’è una meraviglia continua, che mantiene viva l’attenzione. La morte è un’interruzione di tutto questo: tranne che se premeditata, come capita perché ci sono dei suicidi, è un evento che io cerco di immaginare a viso aperto con la fine.

Parlando di cinema puro e ricordando che lei nel 2003 è stato anche nella Giuria del Festival di Cannes, le domando 3 film che le vengono in mente all’impronta, per lei significativi: uno sul tempo, uno sul corpo e uno sulla morte.

Domande come questa andrebbero premeditate con un po’ d’anticipo! Comunque, uno che mi viene in mente sempre, sul corpo, è Dersu Uzala – Il piccolo uomo delle grandi pianure di Akira Kurosawa; sulla morte, invece, un racconto di Vittorio De Sica, ambientato a Napoli: Il giudizio universale. Sul tempo? … … … Non ce l’ho.

Deve ancora vederlo, forse.

Devo ancora ricordarlo.

 

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