ENZO MONTELEONE


“Mi dicono che El Alamein. La linea del fuoco è stato criticato perché non compare mai il tricolore, ma ci sono le coccarde. Comunque non mi interessa sbandierare il vessillo come ha fatto Spielberg in Salvate il soldato Ryan. L’altro ieri, dopo una proiezione in Rai, due signori 80enni, reduci da quel campo di battaglia in Africa, mi hanno tenuto la mano mezzora ringraziandomi più volte per aver raccontato quello che hanno vissuto laggiù”. Enzo Monteleone, regista ma soprattutto sceneggiatore per Gabriele Salvatores, Cristina Comencini e Maurizio Sciarra (Alla rivoluzione sulla 2 cavalli), ha recuperato una vicenda dell’ultimo conflitto rimossa dalla nostra storiografia, cultura e cinema. Monteleone non si chiede se i nostri soldati, impegnati nell’autunno 1942 sul fronte africano a fianco delle truppe naziste di Rommel, combattessero o meno dalla parte sbagliata, sospende il giudizio e indaga i sentimenti e le psicologie di uomini veri coinvolti in una guerra “brutta, sporca e cattiva”.
Là nel deserto del Sahara l’esercito italiano, male armato e straccione, contò 9mila morti, 15mila feriti e 35mila prigionieri e El Alamein. La linea del fuoco, nelle sale venerdì 8 novembre, racconta quella tragedia con il minimo di retorica.

Finalmente esce questo progetto da tempo nel cassetto, costoso e complicato, che ha richiesto 3 anni di lavorazione.
Sulla battaglia di El Alamein sono stati fatti in passato 3 o 4 film, autocelebrativi come Divisione Folgore, semplicistici come La battaglia di El Alamein, una sorta di spaghetti western. Ho voluto realizzare un film epico e spettacolare, con al centro i grandi temi: la vita, la morte, l’amicizia. Un’epopea drammatica e terribile di soldati semplici, dimenticata nei libri di storia. Vicende di militari abbandonati a se stessi, la cui grande prova di eroismo è riuscire a sopravvivere nel deserto non solo durante la battaglia, ma soprattutto nella ritirata.

E la critica al regime fascista?
E’ fuori discussione che le guerre del fascismo in Grecia, Russia e Africa siano state guerre di aggressione e di propaganda. Ma nel mio film, che non è una lezione di storia, ho ridotto al minimo il j’accuse contro Mussolini, inserendo solo due elementi emblematici, fatti realmente accaduti: l’arrivo sul fronte di un carico di lucido da scarpe e del cavallo personale del duce per la parata vittoriosa.

E il finale?
In una prima sceneggiatura c’era un happy end, alla Marrakesh express, con una camionetta che raccoglie i tre superstiti. Subito ci siamo accorti di cedere a quel ricatto tipico della commedia all’italiana per cui tutte le grandi tragedie raccontate, da La Grande guerra a Tutti a casa, s’affidano a un momento di sollievo, all’attore comico.

Il cast è rigorosamente italiano: Paolo Briguglia, Emilio Solfrizzi, Pierfrancesco Favino, Thomas Trabacchi e Piero Maggiò.
Il grande equivoco in Italia è che non ci siano attori bravi. Non ho faticato a trovarli e con loro il lavoro, due mesi e mezzo a Erfoud in Marocco, è stato semplicissimo. Ho mostrato da subito il mio documentario perché entrassero senza difficoltà nella storia e nella parte.

Influenzato dal cinema di guerra?
Non mi piacciono i film di guerra americani che hanno perso l’anima, sono pura tecnologia pronta a ricreare i war games. Se Lawrence d’Arabia è stata l’infatuazione da bambino, La sottile linea rossa è il mio preferito da adulto, un film straordinario dal punto di vista umano, con la natura che osserva che cosa accade a quei soldati. Anch’io ho provato a mostrare quel deserto immobile nel tempo, solcato da eserciti.

Progetti futuri?
Mi piacerebbe realizzare un film da “Il sergente della neve” di Mario Rigoni Stern ma credo che lo farà Carlo Mazzacurati che incontra lo scrittore quasi quotidianamente. Potrei invece girare la seconda parte di El Alamein sui 35mila soldati prigionieri degli Alleati fino al ’46 in India, molti dei quali morirono per malattia, per stenti, per le dure condizioni di vita nei campi di detenzione. Uno solo di loro riuscì a fuggire dalle montagne dell’Himalaya, travestito da indiano, e si rifugiò a Goa, colonia allora portoghese.

autore
04 Novembre 2002

Interviste

Ti West
Interviste

Ti West: “in ‘MaXXXine’, gli anni ’80 che nessuno vuole mostrare”

Con MaXXXine, in sala con Lucky Red, Ti West conclude la trilogia iniziata con X: A Sexy Horror Story e proseguita con Pearl, confermandosi una delle voci più originali del cinema di genere dell’era Covid e post-Covid

play
Interviste

Trincia: “ognuno di noi ha sentito vicinanza con questo caso”

Dove nessuno guarda. Il caso Elisa Claps - La serie ripercorre in 4 episodi una delle più incredibili storie di cronaca italiane: il 13 e 14 novembre su Sky TG24, Sky Crime e Sky Documentaries.

play
Interviste

Luchetti: “ho voluto raccontare Carla anche come donna politica”

Codice Carla mostra come Carla Fracci (1936-2021) fosse molto più di una ballerina famosa.

Interviste

Marco Valerio Gallo: come ti disegno ‘Freaks Out’

Il disegnatore, illustratore e docente presso la Scuola Romana dei Fumetti ci racconta come ha lavorato sugli storyboard dell'ultimo successo di Gabriele Mainetti


Ultimi aggiornamenti