ROMA – “Questa storia nasce nell’oscurità, in una specie di cripta segreta che è il teatro. Ha come protagonista Arturo che non è né maschio e né femmina, né adulto e né bambino, né bello e né brutto: è una creatura”. Esordisce così Emma Dante, nell’incontro con il pubblico della Festa di Roma 2023, dove ha presentato in anteprima il suo ultimo film: Misericordia, nelle sale dal 16 novembre.
Tratto dall’omonimo spettacolo teatrale del 2020, il film è stato adattato con il contributo degli sceneggiatori Elena Stancanelli – presente con lei all’incontro – e Giorgio Vasta. Racconta la storia di Arturo, nato da una prostituta morta dandolo al mondo, a causa delle percosse ricevute dal violento pappone Polifemo. Viene cresciuto da altre due prostitute, amiche della madre, nella comunità di Contrada Tuono, un agglomerato di baracche sospese tra il mare in tumulto e la montagna instabile. L’aspetto è quello di un giovane uomo, ma Arturo non è come gli altri, è nato con un disturbo di qualche tipo che lo rende molto più simile ai bambini con cui gioca, o forse alle pecore che lo hanno visto nascere e che lo riscaldano con la loro lana. Quando la giovane Anna si unisce alla famiglia, forse è arrivato il tempo per Arturo di andare via, scappando dalla violenza incarnata dagli uomini che lo circondano.
“La difficoltà dell’approccio a un personaggio così è che è un ibrido, non ha una forma precisa: è inafferabile dal punto di vista della narrazione. – spiega Emma Dante – Nasce dentro l’oscurità e nel vuoto del palcoscenico, dove ci sono solo quattro sedie e molta munnizza. Lo interpreta lo stesso danzatore che lo interpretava anche nello spettacolo, Simone Zambelli. È lui che costruisce questo cordone ombelicale. Dall’utero del teatro dove è stato concepito e dove ha fatto la sua gestazione, esce e nel cinema conosce il mondo. Il film, a differenza dello spettacolo, ha una collocazione spazio-temporale precisa, una comunità di persone, che possiamo vedere in faccia”.
È la stessa drammaturga e regista palermitana a individuare un parallelismo con un film recente, Lamb, dell’islandese Valdimar Jóhannsson: “Lamb racconta la mostruosità che viene da un altro posto, che ha un’altra origine. Io sono una madre che ha adottato. Chi adotta non si prende cura di figli che stanno bene. Sono figli che nascono e vivono nella mostruosità. Per questo vengono tolti da quella origine mostruosa. Una madre adottiva si prende anche questo lato mostruoso. E questo ha a che fare con il titolo: la misericordia è un sentimento con cui non giudichi la disgrazia dell’altro, ma ti riguarda profondamente e quindi la fai tua. Questo rapporto genitoriale diventa molto più potente e più forte perché ha a che fare con la condivisione, con la scelta precisa e profonda di prendersi cura anche di questa mostruosità”.
In Misericordia Emma Dante ha l’opportunità di raccontare i corpi delle sue attrici e dei suoi attori da molto più vicino, con uno sguardo delicato ed empatico. “I corpi per me sono la scrittura. – conclude la regista – Infatti noi continuiamo a scrivere anche dopo la fase di sceneggiatura. Quando sul set arrivano i corpi, gli sguardi, i gesti, mettono tutto in discussione. Arriva la sfida vera. Io i corpi li lascio fare, sia a teatro che al cinema, provo molto prima di cominciare a lavorare sulla narrazione, sulla storia, sul percorso. Provo e metto gli attori e le attrici nella condizione di conoscersi, di presentarsi. Quindi queste persone cominciano ad esistere. La macchina da presa viene invitata in questa festa in cui ci si conosce e diventa anche corpo. Clarissa Cappellani, che è operatrice e direttrice della fotografia ha partecipato alle prove. La macchina da presa era un convitato di pietra. Prendeva parte a quella riunione di famiglia. Non posso arrivare sul set senza avere fatto tante prove. Anche perché più proviamo e meno giriamo, e si fanno troppi ciak si perde tantissimo la verità, la naturalezza. I corpi bisogna lasciarli liberi, farli provare. La loro presenza determina tutto, sono loro i paesaggi che io riprendo: mi interessano i loro sbagli, i loro difetti”.
E il mondo di Misericordia è stracolma di difetti, di brutture, di ingiustizie. Qui Arturo si muove con la leggerezza del ballerino che lo interpreta, con una libertà inscalfibile e un’energia sacra, fino al momento, inevitabile e tragico, in cui anche a lui toccherà diventare adulto.
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