Con l’ironia propria della serie, lieve, pungente con stile, a tinte romantiche e chic, Emily Cooper – Lily Collins – torna in scena, alla quarta stagione, raccontata subito attraverso quell’universo social che le ha fatto sbarcare il lunario parigino: qui viene data in pasto alla Rete come un’adorabile sfasciafamiglie, rubacuori, fedifraga, insomma una che con l’amore gioca d’azzardo. E un po’ è così, è sempre stato così, ma non lo fa apposta la piccola americana, sono le circostanze che la costringono a omettere qualche verità, ops…, e a destreggiarsi tra le maglie complesse del sentimento: l’amour… l’amour…
Ereditando la scia delle ultime vicende della terza stagione, lei vorrebbe chiarirsi con Alfie (Lucien Laviscount), ma lui non risponde ai messaggi, e in questo impasse è la carismatica Mindy (Ashley Park), con cui la sorellanza s’è stretta lì nella Parigi che le ha accolte, che – pragmatica, ça va sans dire – le fa notare come la situazione le abbia così “finalmente spianato la strada per stare con Gabriel” (Lucas Bravo) – “quell’uomo che sta per avere un bambino con una donna, ma ama un’altra donna, e io sono l’unica a saperlo?”, rilancia frizzante Emily.
Le premesse sono succose e le possibilità di come la vicenda possa trovare mille rivoli solleticano, insomma Emily in Paris è tornata, fedele a se stessa, così come il suo mondo: Emily – in questa quarta stagione – rassicura perché mai dissimile a come lo spettatore l’ha conosciuta; resta sempre super fashion ma qui, piccoli dettagli disseminati man mano, ne presentano anche la versione più adulta di sé, escludendo che però s’appanni lo smalto che finora l’ha fatta luccicare. Come più adulto – senza snaturare lo spirito della serie, e un po’ sull’onda del politicamente corretto corrente – si rivela anche il contenuto che, con nonchalance, tra la residenza storica di Claude Monet e un guardaroba di lusso, tesse anche tematiche d’attualità come inclusione e molestie.
Gli ingredienti ricorrono, d’altronde Emily in Paris è stata costruita con un disegno narrativo d’archetipi, e anche di luoghi comuni, sempre efficaci, tocchi di quotidiana normalità in cui l’identificazione di chi guarda si specchia limpidissima e, altrettanto, dosando uno slancio aspirazionale che funziona come motore del desiderio, anche quello che spinge a continuare a seguire una storia così.
Come ormai ricorrrente, nella vita di Emily è sottilissimo il confine tra vita privata e vita professionale, e questa volta il muro è proprio caduto: lei, il suo disastro sentimentale dalle apparenze romantiche, sono il concept e l’immagine di una campagna che strilla “love is in the air”, naturalmente non senza il riconoscibilissimo motivetto musicale di John Paul Young a fare da ciliegina sulla torta.
E Sylvie (Philippine Leroy-Beaulieu), e Maison Lavaux con Antoine (William Abadie), e “la coppia” spassosa di Luc (Bruno Gouery) e Julien (Samuel Arnold)? Non manca nessuno all’appello – come non manca il realismo, tra l’Eurovision e i Roland Garros – e… “love is in the air” non solo per Emily, perché – così come nelle tre precedenti stagioni – anche l’intero universo di Cooper è decisamente sempre sfiziosamente attorcigliato nelle questioni del cuore, perché “le cose si sono affievolite, ma la scintilla si può sempre riaccendere”.
Tra certe conferme e una misteriosa “scomparsa” – spunto perché sia espressamente citato Michelangelo Antonioni e L’avventura – la serie prodotta da Darren Starr non manca di debutti: Parigi si tinge d’Italia con Raoul Bova, alias Giancarlo, fascinoso regista pubblicitario, nonché ex professore di cinema di Sylvie; e il nostro Paese raddoppia con Eugenio Franceschini nei panni di Marcello, personaggio volitivo e discreto, radicato all’azienda di famiglia.
Nell’attesa che Emily-Lily Collins possa approdare in prima persona a Roma, e sospesi nella bramosia di sapere cosa accadrà nella seconda parte della stagione, non resta che cominciare a godersi questa ennesima tranche de vie di Emily…
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