LOCARNO – “L’uomo dovrebbe essere quello che sembra, se no non è un uomo”, afferma Iago al Negro, come viene chiamato Otello per l’intero film, Non sono quello che sono, centrando così uno dei temi parelleli del soggetto di Edoardo Leo, autore, interprete e regista dell’opera, nella selezione Piazza Grande di Locarno76.
Il progetto, spiega Leo, è in essere “da più di un decennio e avrei voluto fosse il mio esordio alla regia, ma era complesso da farmi produrre. La scintilla nasce da un fatto di cronaca: un ragazzo aveva ucciso la fidanzata e poi si era suicidato, insomma nella sinossi breve era l’Otello. Da lì è nata l’idea di ambientarlo ai giorni nostri ma troppo spesso mi è capitato di vedere la riscrittura di Shakespeare, mentre io ho fatto la traduzione esatta, non ho toccato nemmeno una virgola, e l’ho tradotto in dialetto romano/napoletano, perché non mi sarei mai rimesso a riscrivere Shakespeare, non ho messo nulla di mio pugno. In quattrocento anni non è cambiato niente nel rapporto tossico maschilista e credo che in un contesto criminale e di degrado fosse più credibile, ma l’idea rimaneva sempre di non riscrivere, non si può riscrivere Shakespeare. Le traduzioni che esistono, da Quasimodo a Lombardi, sono diversissime, e sono sempre frutto di ciò che la società produce”, spiega l’autore, allievo di Gigi Proietti che “è stato una spinta enorme. Lui insisteva sul fatto che Shakespeare fosse un autore popolare, per Gigi questo significava la capacità di accogliere, rendere accessibile anche la cosa più complicata del mondo”.
Il carcere oggi e l’inverno di Ostia vent’anni anni prima, come Venezia e Cipro del ‘600, quando William Shakespeare scrisse Otello: Leo ricorre al gioco temporale del montaggio parallelo tra l’adesso e il passato, destreggiandosi con l’attualità perenne del soggetto shakespeariano; lo fa suo esattamente com’è stato scritto, ma portato qui e ora con la veracità del dialetto romano. E lo fa anche collocando un evento storico – e iconografico – specifico, il crollo delle Torri: “l’11 settembre non era nelle mie intenzioni, ma poi in montaggio quel crollo, in quel momento, era il crollo di tutti i personaggi del film”.
Un qui e ora che comincia nel presente più stretto, con in scena uno Iago (Edoardo Leo) carcerato e invecchiato – aspetto interessante dell’uso della maschera dell’attore, purtroppo un po’ circoscritto nella messa in scena – ma comunque inscalfibile rispetto alla propria mentalità, all’idea che l’ha mosso due decenni prima a comportarsi come s’è comportato: d’altronde, dice ora – nell’interrogatorio registrato all’interno della galera moderna – “non mi guidava né l’affetto, né il dovere, solo il mio interesse … l’idea era mettere nell’orecchio a Otello (Jawad Moraqib) che Michele (Matteo Olivetti) si prendesse troppe libertà con la moglie”, e così Iago ha fatto, quando quarantenne e membro del giro di malavitosi capitolini ha tessuto la sua tela di insinuazioni e inganni, che hanno portato Otello alla follia, in un effetto domino di male e morte. “Uno dei motivi per cui è difficile fare Otello è che a teatro Iago parla al pubblico: quindi l’ho immaginato dopo 25/30 anni di carcere parlare un buon italiano e raccontare la storia al contrario, un rapporto tra passato e futuro”. Nello specifico, per la sua interpretazione di Iago, Leo s’è concentrato su “la mancanza di determinazione di una sola ragione: questione centrale nell’Otello originale. Una motivazione precisa e unica non c’è, ecco perché è affascinante questa indagine sul male. La risposta è nell’incredibile indeterminatezza che fa Iago sul male: possiamo decidere di non usarlo, dobbiamo saperlo maneggiare. Io non credo ci sia modo di contrastare la cronaca presente se non con l’educazione emotiva dei maschi: siamo ancora in una società profondamente maschilista, sono così anche quelli che non lo credono. C’è un retaggio di maschilismo nel dna, da estirpare: in questo, il monologo finale di Emilia (Antonia Truppo) è di una modernità sconcertante, già nel ‘600 c’era la consapevolezza di qualcosa di profondamente malato”.
Iago – quello attuale, invecchiato -, ancora, dichiara che era innamorato di Desdemona (interpretata da Ambrosia Caldarelli), ma per desiderio di vendetta, perché pensava Otello avesse preso il suo posto nella gerarchia del clan e il suo proprio fine era dunque “togliere pace e tranquillità, fino alla pazzia … io volevo cucire una rete per avvolgerli tutti, tutti” dice il personaggio, e in quel “avvolgerli” vive chiarissima l’idea di Iago di soffocare metaforicamente gli altri, circoscriverne o eliminarne il raggio d’azione, con lo scopo della propria ascesa nella scala del potere.
“È stato il mio primo ruolo importante; girato quasi un anno prima di Circeo. Conoscevo l’Otello, senza averlo fatto però a teatro: Desdemona, non l’avevo però mai pensata in chiave moderna. Con il film mi sono resa conto delle similitudini con una ragazza moderna ed è stato bello entrare e osservare le contraddizioni: lei stessa è fragile ma comunque fa una scelta, disubbidisce al padre per scappare con Otello”, racconta Caldarelli.
Iago, Otello, Desdemona sono sempre attuali: è il classico che si fa cronaca. Se nel film la vicenda è ambientata tra la Capitale e il litorale laziale nei primi Duemila, Shakespeare – si sa – è acronico e così, ancora una volta, si crea la tensione tra i poli del bene e del male, che camminano pericolosamente sulla via scoscesa dei sentimenti umani, dall’inganno alla follia, appunto. “Credo che in questo momento ci fosse bisogno di ridare vita a un tema di assurda contemporaneità. Io volevo togliere empatia verso Otello, senza toccare il testo: ho tolto ciò che in questo momento non era accettabile. Era una sfida ma ho cercato di farlo nel modo più onesto possibile”, continua Leo.
“Shakespeare l’ho scoperto un po’ tardi, intorno ai 18 anni: leggendolo la prima volta era stato di difficile comprensione, troppo denso per l’età che avevo, non riuscivo a vederlo nella contemporaneità, mentre è super futuristico. Poi a teatro l’ho scoperto e ho capito i punti focali dell’immenso scrittore. Shakespeare è una continua scoperta e nutre sempre, è una fonte per assorbire l’essere umano visceralmente. La difficoltà è nel lato emotivo, nel cogliere e rispettare i personaggi: il lavoro introspettivo non è stato semplice, è stato profondo e divertente” per Moraqib.
L’attualità risiede anche in temi quali maschilismo, femminicidio, razzismo, dunque e “c’è un tema scivolosissimo nell’Otello: quasi tutti gli attori del ‘900 – da Gassman a Lawrence Oliver – si sono dipinti la faccia di pece per interpretarlo: nell’opera originaria era molto probabilmente nordafricano e io ho voluto prendere Jawad Moraqib perché adesso c’è un razzismo ancor più sottile; Otello è nato dove è nato Iago, parla il suo stesso dialetto, ma lui continua a chiamarlo ‘Negro’, come se fosse altro da lui. Così, anche a Desdemona volevo togliere il senso della vittima sacrificale. Per l’Emilia di Antonia, che non conoscevo prima, ho chiesto a lei una partecipazione maggiore: abbiamo deciso insieme di cambiare il dialetto (da romano in napoletano), per dimostrare che in questo momento la forza di certe immagini, in dialetto, maniene integrità con il testo originale” per Leo.
“Io sono una teatrante in prestito al cinema”, premette la Truppo, che spiega: “Emilia è sempre stata un personaggio controverso e mai risolto. Quando Edoardo mi ha voluta incontrare ho riflettuto e condiviso la controversia del personaggio, poi mi sono detta ‘affidati a Shakespeare, in lui c’è la risposta’. Girare in ordine cronologico ci ha aiutato a entrare nei sentimenti, è stato un armonioso sviluppo, e così la fiducia nell’autore ha permesso di vedere il nero e il bianco, la fragilità e la colpa dei personaggi. Sono testi che per gli attori sono imprese: l’ordine cronologico e quindi le tre notti consecutive necessarie a Emilia per morire mi hanno svuotata, una volta a casa; lo sapevo, aspettavo la sequenza, ma sono personaggi esplorati come in una pièce e quindi sul finale sei abbandonato in uno stato in cui hai dato tutto”.
Il film esce al cinema dal 14 novembre con Vision Distribution.
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