BARI – Si conclude la visione de La notte di San Lorenzo e il Teatro Petruzzelli prosegue nel farsi spazio dedicato al ricordo di Paolo Taviani, scomparso lo scorso 29 febbraio, ma anche di suo fratello Vittorio, sodale nella vita e nel mestiere.
È il direttore Felice Laudadio a ricordare che il film fu premiato a Venezia nel 2018, come Miglior Restauro, realizzato in collaborazione fra Centro Sperimentale di Cinematografia-Cineteca Nazionale e Luce-Cinecittà, umanizzando quel momento con un ricordo. “La proiezione fu accolta da un applauso interminabile, il pubblico era tutto in piedi ma Paolo non si alzava dalla poltrona. Poi gli spettatori cominciarono ad avanzare, stringendosi attorno a lui, che finalmente si alzò in piedi. Solo allora ho capito che stesse piangendo, commosso per il fratello”.
È ancora Laudadio a tornare su un altro titolo e un altro momento gloriosi: Padre padrone – Palma d’oro a Cannes ’77. Il Direttore, anche qui, porta un aneddoto, rinnovando così il senso dell’umanità del regista, della coppia di fratelli registi, e racconta come il film “fu girato in 16mm” ma al Festival “fu ‘gonfiato’ in 35mm per essere proiettato sullo schermo enorme. La trasposizione tra formati diversi di pellicola, però, comportò che la copia del film presentasse delle imperfezioni, tra cui alcune sfocature e alcune macchie, per questo i due registi si sentivano fortemente a disagio. Accadde poi che Joris Ivens, il più grande documentarista allora vivente e del quale i fratelli Taviani erano ammiratori, si avvicinò a loro e gli fece i complimenti per quelle imperfezioni che pensava fossero volute e che erano una ragione in più per apprezzarlo! Paolo e Vittorio si sentirono improvvisamente meglio, tanto più che Padre padrone vinse poi nell’anno in cui il presidente della Giuria era Roberto Rossellini”.
Sul palco con Laudadio, ci sono anche la produttrice storica dei fratelli Taviani, Donatella Palermo, e Enrico Magrelli, critico cinematografico. Era annunciata anche Lina Nerli Taviani, moglie di Paolo, che all’invito “aveva detto subito sì, era un’occasione per colmare un vuoto, ma all’ultimo minuto ha declinato: ci ha spiegato che non se la sentisse più, ‘mi emozionerei troppo’, comprensibilmente”, riferisce il Direttore.
Magrelli torna su La notte di San Lorenzo, in particolare concentrandosi sul ruolo del femminile, e il critico non ha dubbi come sia stato “sempre ben presente, pensiamo anche al fatto che abbiano scelto di affidare la voce narrante di a una donna, che pure non era stata diretta testimone di molti dei fatti che vengono rappresentati. Ricordo, comunque, che proprio in occasione del restauro del film, Paolo mi disse che, insieme al fratello, non lo considerava il loro film migliore ma sicuramente è quello che più gli appartiene, avendo vissuto quell’epoca, seppur adolescenti”.
Donatella Palermo, ancora sul film, riferisce che “all’epoca io ancora non li conoscevo ma in seguito mi avrebbero raccontato un aneddoto: la famosa scena del fascista Giglioli, interpretato da David Riondino, trafitto dalle lance inizialmente, li lasciava perplessi su come girarla finché non videro un’immagine su un albo della collana La scala d’oro, e la riprodussero fedelmente. Fu una grande intuizione. D’altronde Paolo, in particolare, trasformava in cinema tutto quello che vedeva, aveva l’inquadratura nella mente”.
Per la produttrice, “Paolo non doveva morire così presto, aveva ancora sogni e capacità. Il film a cui stava lavorando, Il canto delle meduse, “era un film sulla morte, come peraltro lo era anche il precedente Leonora addio. Dopo la scomparsa del fratello Paolo era ossessionato dal tema e così aveva scritto Il canto delle meduse strutturato in tre parti, una prima su due medici che si parlano citando passaggi dei Dialoghi di Platone, opportunamente attualizzati, finché uno dei due non muore; un secondo descrive la vita quotidiana di alcune persone chiuse in casa nel periodo del Covid, e un terzo episodio è su una donna che sta morendo e che non vuole essere sepolta insieme al marito. Nonostante fosse ancora sconvolto dalla perdita di Vittorio, Paolo non aveva perso la capacita di raccontare e aveva ancora dei sogni. La sua sceneggiatura me l’hanno già chiesta per affidarla ad altri registi ma non la darò a nessuno, perché le immagini che avrebbe portato sullo schermo erano solo le sue”.
“La morte di Vittorio, per Paolo, aveva rappresentato un sentimento di vulnerabilità; di colpo la morte ha preso un ruolo importante nel suo immaginario”, continua Palermo, che entra poi nel merito della direzione a quattro mani, e chiama in causa “Good Morning Babilonia, film in cui il padre dice ai fratelli di stare vicini, ‘questa è la vostra forza’. Così loro due, Paolo e Vittorio, giravano una scena uno, e una l’altro, e quando una volta gli ho detto la mia sulla loro differenza mi hanno risposto: ‘stai zitta!’ (ride)”.
Era un cinema politico il loro, e Laudadio, parlando di San Michele aveva un gallo, ricorda che “nel finale c’è un suicidio: la loro era capacità di lettura di una vicenda storica, politica, vissuta come dibattito storico. I Taviani sono stati forti testimoni del sociale”.
Passaggio dell’incontro, questo, per ricordare anche Giuliano Montaldo, a cui – proprio insieme a Paolo – è dedicata l’edizione corrente del Bif&st, ed è Magrelli a riferire che “di Giuliano ho un ricordo preciso, quello della prima volta: partì un treno pieno di giornalisti verso Venezia, perché cominciava l’impresa di Marco Paolo. Lo spirito, l’intelligenza, la delicatezza dei rapporti mi porta un ricordo legato alla piacevolezza: poi, era anche un grande raccontatore di barzellette e faceva giochi di prestigio”. Infine, Laudadio lo riconnette a Taviani sul tema del “politico”, dicendo che Montaldo “ha fatto un cinema importante: fare cinema politico era un modo per respirare, perché non pedagogico, non di propaganda, un modo di ragionare sul contemporaneo”.
Dopo 15 edizioni Felice Laudadio lascia la direzione del Festival da lui ideato e fondato nel 2009
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