“Mi pare un gesto importante inaugurare la Mostra con Dust, quando tradizionalmente a Venezia l’apertura è affidata ai film americani o alle star del momento. Questa volta è stata scelta invece la pellicola di un regista macedone, certo già premiato con il Leone d’oro, e con attori poco noti, tranne Joseph Fiennes”. Il produttore Domenico Procacci è più che soddisfatto di essere presente al Lido con il film fuori concorso di Milcho Manchevski (leggi l’intervista su Zip), dopo il successo di L’ultimo bacio di Gabriele Muccino che gli ha fatto vincere il David di Donatello.
Che difficoltà ha incontrato nella coproduzione di “Dust”?
E’ stato il film più difficile della mia vita. Il mio coinvolgimento risale a due anni e mezzo fa, ma il film ha avuto una gestazione molto più lunga, perché da oltre sei anni si lavorava su questo progetto. Il primo ciak era previsto nell’estate ’99, ma la guerra nel confinante Kosovo ci ha obbligato a un rinvio, comunque utile per meglio definire il progetto. Un rinvio che non era solo dovuto ai pericoli reali di un set nella zona calda dei Balcani, ma soprattutto all’impossibilità di disporre della necessaria assicurazione che garantisce la buona riuscita e dunque il completamento dell’opera. Un film complicato perché innanzitutto europeo, senza grandissimi nomi per un budget rilevante, di dieci milioni di dollari, e con la partecipazione di capitali di quattro paesi: Gran Bretagna, Germania, Macedonia e naturalmente l’Italia. Fondamentale è stato il ruolo del produttore britannico Chris Auty nel finanziamento dell’impresa, mentre la partecipazione italiana è il frutto di un accordo tra Medusa e Fandango. Dust è stato girato in gran parte la scorsa estate in Macedonia; poi due settimane di riprese a New York, e ancora due settimane di lavorazione in interni in Germania. Montaggio, mix e post produzione sono invece stati portati termine a Londra.
La novità veneziana dei due Concorsi la convince?
Se l’intento è quello di dare più spazio e visibilità ai film, ritengo che il nuovo meccanismo possa funzionare, tanto più che c’è stata una selezione coraggiosa. Capisco le intenzioni di Barbera e sono ottimista sui risultati finali, anche se la stampa e i giornalisti, e questo è inevitabile, parlano di concorsi di serie A e B.
Si riconosce nel ritratto di un produttore che dialoga con gli autori, legge le sceneggiature di sconosciuti e s’inventa nuovi mestieri?
Purtroppo resto sempre indietro nella lettura dei copioni. Quanto alla distribuzione è stata un’evoluzione naturale, diciamo che non l’ho scelta. L’avventura editoriale, con la nascita di “Fandango Libri”, invece mi attirava, è un mestiere nuovo, che mi diverte e volentieri ho pubblicato libri che mai sarebbero arrivati in Italia. Un’altra avventura è l’aver preso in affitto a Roma una sala, il Politecnico.
Ha una richiesta da fare al ministro Giuliano Urbani per il cinema italiano?
No. Sto a vedere, come altri, che cosa accadrà. Nella gestione del governo dell’Ulivo c’è stato molto impegno e, anche se ci sono stati errori, il bilancio di questi ultimi anni è molto positivo. Ora si torna a parlare, per lo sviluppo e per il sostegno del nostro cinema, di Tax shelter, agevolazioni fiscali che già Walter Veltroni, allora esponente di governo, propose. C’è anche un orientamento perché il finanziamento pubblico copra il 50% del costo del film, una forma simile a quella in vigore in Australia con buoni risultati. Sono queste le strade possibili da percorrere.
“Da zero a dieci” di Luciano Ligabue è l’ultima impresa produttiva?
Abbiamo ultimato le riprese qualche settimana fa e il film sarà pronto per l’uscita a febbraio. Nel frattempo è iniziata la lavorazione a Lampedusa di Respiro mio di Emanuele Crialese, con protagonista Valeria Golino, mentre a metà settembre inizieranno le riprese di Velocità massima di Daniele Vicari, con interprete Valerio Mastrandrea.
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