Era la scorsa primavera quando il pubblico televisivo ha conosciuto Andrea Fanti, medico la cui vita personale, causa un incidente, l’ha costretto a essere paziente, per una lesione alla corteccia cerebrale che gli ha messo in gioco la memoria del passato. Un personaggio per cui: “Non c’è stata particolare ispirazione, se non da Pierdante stesso: è stato un lusso poter lavorare con il protagonista reale, Andrea Fanti è un personaggio originale, non ho preso spunto da medici televisivi famosi”, dice Luca Argentero, che dà anima e corpo a un personaggio la cui essenza reale esiste, ed è quella del dottor Pierdante Piccioni (professore universitario e primario presso il Pronto Soccorso di Codogno e Lodi prima dell’incidente, e autore poi di un libro in cui narra la sua vicenda, nrd).
Erano state 4 prime serate di Rai Uno, con un altissimo gradimento negli ascolti, e il consenso di un pubblico usualmente poco affine alla fiction nazional-popolare, ma proprio l’altissima qualità del prodotto, la scrittura peculiare – di Francesco Arlanch e Viola Rispoli –, la regia “a quattro mani” preparata nel dettaglio da Jan Maria Michelini e Ciro Visco, con il coro di personaggi/attori, ne hanno consacrato un caso tv – già in distribuzione in più Paesi europei – che dal 15 ottobre, per 7 prime serate da una puntata ciascuna, concludono la prima stagione, prodotta da Lux Vide in collaborazione con Rai Fiction.
“È stato bellissimo tornare sul set, anche forti del risultato ottenuto: c’era un po’ di euforia nell’aria per le paio di settimane che ci mancavano per terminare la prima stagione”, continua Argentero, riferendosi al girato ultimato dopo il termine del blocco sanitario, che ha permesso così di concludere la stagione rimasta in sospeso in piena pandemia. Il suo Andrea Fanti è un personaggio che percorre davvero un “viaggio dell’eroe”, essendo “Prima un professore antipatico e distaccato, nel ricordo poi del giovane medico empatico, e infine un Fanti summa di tutto quello che gli è successo: lui ha recuperato l’essere paziente. Gli strutturati, in primis Matilde (Gioli, nel ruolo di Giulia), erano incanalati nel suo distacco, mentre la sua nuova versione è completamente rivolta verso il paziente. In alcune di queste prossime puntate alcune risposte arrivano, troveranno una soluzione, con un finale di stagione non lasciato in aria: alcune cose giungono secche, dure, si chiudono. Nelle prossime puntate si scopre, di ognuno dei personaggi, qualcosa in più”.
Le parole sul profilo di Fanti espresse da Argentero sono avallate dal suo reale alter ego, proprio il dottor Piccioni: “Parla uno che prima era molto più tecnico e poco ascoltatore, e l’esperienza di paziente mi ha cambiato completamente l’approccio: come medici ci insegnano a fare l’anamnesi, l’ascolto, la metà del lavoro; ascoltare ti aiuta nell’arrivare all’essenza della diagnosi. I colleghi mi hanno detto che la serie tv gli ha fatto capire di ascoltare di più”.
Un approccio di cui anche Giulia è digiuna, perché allineata al “primo tempo” di Fanti e quindi acerba di questa modalità, infatti dice di lei Matilde Gioli: “ha sposato appieno un modo di fare medicina che prevede poca umanità e empatia, ma insieme a Fanti anche lei dovrà cambiare punto di vista; invece io, Matilde, sono fortemente empatica, quasi invadente, per cui è stata una sfida molto bella fare qualcosa di diverso da quello sono; Giulia tiene legati il ‘prima’ e il ‘dopo’ di Fanti, è un rapporto chiaramente travagliato”, quello dei due colleghi, in principio vicini anche affettivamente.
Con loro un consesso di sanitari che completa le declinazioni possibili del profilo del medico, come dell’essere umano. Così Giovanni Scifoni, che interpreta Enrico: “È sempre molto bello interpretare ‘l’amico’, un po’ il biblico Simone di Scirene, chi porta la croce al posto dell’altro, e il mio amico Fanti ha una croce grande grande, e questo l’amico deve fare, portarla con sincerità, con stravaganza, senza pensare di piacere all’amico. Questo mio Enrico è neuropsichiatra infantile: lavorare con i bambini è un po’ come lavorare con Fanti, un primitivo senza maschere, senza sovrastrutture culturali, e per un attore è bello lavorare senza maschere, anche se sembra un paradosso”. Per Gianmarco Saurino, lo strutturato Lorenzo Lazzarini, medico con uno specifico linguaggio tecnico e una capace manualità, l’uso di un vocabolario medico: “credo sia stato utile per riempire le parole di significato; per la manualità, siamo stati al Gemelli e al Campus Biomedico a fare un piccolo apprendistato, seguendo medici veri, con strumenti veri, cosa che ha riportato poi ad una certa realtà, per me la parte più divertente”.
“E’ stato molto utile il lavoro fatto prima di girare, la lettura delle sceneggiature insieme, perché ero una figura di contraltare: con Michelini, e poi con Visco, abbiamo sempre fatto riferimento al mio mondo teatrale, pescando alcune dinamiche del palco, paragonando il dottor Sardoni ad una specie di Macbeth, in un disperato tentativo di acquistare una forma vuota”, riflette Raffele Esposito nel ruolo del medico divenuto primario dopo l’amnesia di Fanti, di cui è palesemente invidioso professionalmente.
“Nessun essere umano è bidimensionale, in Agnese c’è una durezza necessaria ad un’autodifesa: ci siamo lasciati con un colpo di scena e l’evento avrà un effetto su di lei, che quindi – come tutti – è in evoluzione, in lei c’è però una determinazione che forse riconosco in me: è interessante inoltrarsi in un personaggio che ti allontani così tanto da te, per questo si riesce ad essere tanto precisi”, dice ancora Sara Lazzaro per il ruolo di Agnese, ex moglie di Andrea Fanti e direttore sanitario del suo ospedale.
Dietro i personaggi e gli attori, la scrittura di Rispoli e Arlanch, che conferma: “Siamo già al lavoro sulla seconda stagione, sì! E sicuramente l’ambientazione a Milano e la contemporaneità sono proprie di DOC e non raccontare il Covid non sarebbe responsabile, anche per rendere onore ai medici che hanno davvero lavorato in ospedale”.
“Il lavoro di Arlanch e Rispoli è stato eccellente, quanto la preparazione pratica: volevo cercare di dare alla serie realismo, un modo di operare dei personaggi che non avesse un filtro, con il loro dire e fare assolutamente in linea con il mondo dei medici; gli attori, oltre il talento, si sono ingarellati con me nel lavoro, prendendo molto seriamente il proprio personaggio. Per noi la Medicina Interna è stata molto interessante, è sharlockiana, con una capacità di empatia tale da saper scovare quel qualcosa che orienta sulla diagnosi, questo è stato il lavoro interessante che credo sia passato dallo schermo, oltre il cuore caldo di un’umanità che ha bisogno di sostegno, e Fanti, forte del suo trauma, riesce a comprenderla. Luca in prima fila s’è messo a lavorare con una umiltà e serietà fuori dal comune”, commenta il co-regista Jan Michelini, che s’è avvicendato con il collega Ciro Visco dietro la macchina da presa, una usualità nella serialità internazionale, meno nella nostra, e che lo stesso Luca Argentero commenta.
Il passaggio da un regista all’altro, in una stessa serie: “è stata la prima volta per me; Michelini ha un filo diretto con Visco, una simbiosi, a livello stilistico qualsiasi spettatore non si accorgerebbe del passaggio di mano; da un punto di vista tecnico generale è interessante: all’estero le serie vengono girate da più registi e infatti uno solo, per 16 episodi, non avrebbe il tempo per farli in maniera così accurata; un’alternanza in cabina di regia consente precisione e dettaglio, come siamo riusciti a fare noi. È una delle primissime volte della mia carriera che posso godermi qualcosa che ho fatto, aspettando la pubblicità per alzarmi a fare pipì, come succede anche ad amici miei che non guardavano una serie tv su Rai Uno da 20 anni”.
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