Ogni anno CinecittàNews incontra le figure professionali che hanno lavorato dietro le quinte del film designato dall’Italia alla corsa per l’Oscar al Miglior Film Internazionale. Questa è la volta di Vito Giuseppe Zito, scenografo di Vermiglio.
In Vermiglio le ambientazioni sono un set naturale già di per sé straordinario. Tuttavia, non credo questo abbia reso il compito dello scenografo meno complesso. Come si è svolto il suo lavoro e quando è stato coinvolto nel progetto?
Certamente le location esterne in Trentino, come quelle intorno a Vermiglio, possono sembrare facili da individuare grazie alla bellezza naturale della regione. Ma quando si lavora con una visione chiara e con la necessità di raccontare una storia ambientata in un determinato periodo storico, questo lavoro diventa delicato. Non basta un paesaggio suggestivo, le location devono integrarsi tra loro per conferire coerenza visiva e narrativa. Ad esempio, gli interni della casa principale del film sono stati girati nei pressi di Dimaro, in un’area poco panoramica e con limitata apertura sui paesaggi per le riprese a campo lungo. Invece, le scene esterne della stessa casa sono state girate vicino a Vermiglio, in un antico ‘masetto’ abbandonato, tipica abitazione in pietra e legno, situato in una posizione molto aperta, con una stradina sterrata che scendeva sinuosa verso la valle. Questo scenario offriva l’equilibrio e l’importanza visiva che cercavamo, risultando ideale per tutte le sequenze che mostrano Lucia mentre arriva alla casa ed è il motivo per cui l’abbiamo scelto. Quando ho letto la sceneggiatura sono rimasto affascinato dal mondo raccontato da Maura (Delpero, ndr), ho accettato senza esitazione immettendomi subito in questo universo. Sono arrivato su Vermiglio durante la prima settimana di riprese, a seguito di alcune difficoltà riscontrate sul set ho dovuto affrontare la sfida di coordinare una squadra che attendeva solo una guida per ritrovare la direzione.
La scelta della ‘morbidezza’ nei colori per tutto l’arco del film trasmette perfino la temperatura (il freddo e il caldo) allo spettatore. C’è stato molto intervento di correzione colore in post, o il lavoro è stato un altro?
La natura ha giocato un ruolo fondamentale, fornendo la base cromatica su cui tutto il resto del lavoro si è costruito. Parlando di colori, il nostro approccio è stato quello di privilegiare tonalità tenui, leggere e armoniose, che rispecchiassero l’ambiente naturale e il fluire delle stagioni. Ogni elemento – scenografia, costumi e fotografia – si è adattato al paesaggio circostante, seguendo le variazioni cromatiche imposte dai cambiamenti stagionali. In tal senso il confronto con Mikhail Krichman, dop del film e del costumista Andrea Cavalletto è stato fondamentale.
Un esempio emblematico di questo approccio si ritrova nella scena della scuola, in cui viene inquadrata l’intera classe di bambini seduti ai banchi. L’ambiente è caratterizzato da tonalità desaturate, con prevalenza di bianco e verde salvia, colori che trasmettono un senso di austerità e purezza. La maggior parte dei costumi rispecchia questa sobrietà cromatica, con un’unica eccezione: Ada, una delle sorelle della protagonista, che indossa un maglione rosso. Questo dettaglio non è casuale, ma rappresenta uno dei contrasti cromatici deliberatamente introdotti per evidenziare determinati personaggi o momenti chiave.
L’ispirazione per questa ricerca cromatica viene anche dall’arte, in particolare dai pittori paesaggisti della fine dell’Ottocento. Artisti come Giovanni Segantini, noto per i suoi paesaggi alpini ricchi di luce e sfumature morbide, o Camille Pissarro, maestro dell’Impressionismo, hanno influenzato l’idea di colori che dialogano con la natura e con l’atmosfera. I loro dipinti insegnano come tonalità delicate possano catturare la quiete e l’intimità di un luogo, mantenendo comunque un senso di profondità e vita.
La correzione colore in post-produzione è stata utilizzata solo in minima parte, come strumento di rifinitura. Il lavoro principale è stato svolto in fase di ripresa, curando attentamente la scelta delle palette cromatiche e dei materiali sul set, così da ottenere un risultato autentico e coerente già in fase di produzione. L’obiettivo non era quello di creare un contrasto marcato, ma di raggiungere un equilibrio cromatico che risultasse naturale, quasi impercettibile, e capace di accompagnare lo spettatore attraverso le diverse sfumature emotive e narrative del film.
Immagino ci sia stata una grande ricerca storica preliminare: sul paesino, sugli arredamenti della casa, della scuola e del resto. Può raccontarcela?
Come per ogni progetto cinematografico, il mio lavoro si è basato su una scrupolosa ricerca storica e un approfondimento dell’epoca in cui è ambientata la narrazione. Questo processo è iniziato dialogando con gli anziani del paese di Vermiglio, veri custodi della memoria storica e delle tradizioni locali. In loro abbiamo trovato un patrimonio vivente di conoscenze, che ci ha permesso di attingere a usanze, racconti e dettagli del passato.
Un esempio interessante riguarda un’antica abitudine montanara che Maura, ricordava dai racconti della sua infanzia: per scaldarsi durante le fredde notti d’inverno, si andava al fiume a scegliere una pietra, che poi veniva riscaldata sul piano della cucina a legna. Questa pietra, ancora calda, veniva portata a letto per garantire calore durante il sonno. Era un gesto semplice, ma profondamente evocativo della vita di montagna. Avevamo girato diverse scene ispirate a questa pratica, ma purtroppo sono state tagliate in fase di montaggio per motivi narrativi. Per quanto riguarda l’arredamento e i dettagli visivi degli ambienti, abbiamo svolto un lavoro meticoloso di ricerca iconografica anche grazie al lavoro dall’arredatrice Sara Pergher selezionando gli elementi e gli oggetti più significativi per trasmettere la verità. Una fonte preziosa è stata il proprietario del Bar Carolina, un appassionato collezionista di fotografie d’epoca degli anni ’40, in particolare della zona di Vermiglio. La sua dedizione alla conservazione della memoria visiva locale è stata straordinaria e ci ha fornito materiale inestimabile da utilizzare come riferimento. Abbiamo visitato il Museo della Guerra di Vermiglio e la Biblioteca comunale, luoghi che custodiscono immagini, documenti e oggetti d’epoca. Questi ci hanno permesso di ricreare con autenticità gli ambienti del film, dagli arredi delle case alla disposizione degli oggetti nella scuola, cercando di bilanciare realismo e funzionalità cinematografica, senza mai perdere di vista la coerenza storica.
In particolare, abbiamo cercato di evitare una rappresentazione stereotipata o troppo idealizzata della vita di montagna. La casa, ad esempio, è stata arredata in modo semplice, con mobili logori ma solidi, tipici di una famiglia montanara dell’epoca. Abbiamo utilizzato tonalità di legno chiaro, tessuti con trame grezze ma allo stesso tempo delicate e oggetti di uso quotidiano che raccontassero la storia di una comunità abituata a vivere con poco, ma con un forte senso pratico e una profonda connessione con l’ambiente circostante.
Tutto questo lavoro non è stato solo un esercizio di fedeltà storica, ma anche un modo per immergere lo spettatore in un’atmosfera che trasmettesse autenticità, facendolo sentire parte di quel mondo lontano, fatto di gesti semplici e di legami profondi con le tradizioni.
Avete dovuto ricostruire proprio da zero qualcosa, come la carrucola con cui i bambini attraversano il fiume? Oppure sul posto c’era ancora qualche traccia di quel mezzo di trasporto, tuttora utilizzato in alcune zone del mondo (ad esempio nei villaggi himalayani del Nepal)?
Abbiamo ricostruito diversi elementi a Vermiglio, molti dei quali partendo da zero. Ad esempio, la fontana-lavatoio frequentata da Ada è stata completamente realizzata per il film, così come il pollaio del convento. Anche i due cimiteri, quello siciliano e quello trentino, sono stati interamente costruiti per esigenze sceniche.
Un lavoro particolare è stato fatto sul masetto, il rifugio di Attilio e Pietro. Abbiamo dedicato molto tempo allo scouting, cercando un maso che potesse suggestionarci per l’atmosfera e il contesto paesaggistico. Le ricerche si sono svolte sia in Trentino che in Alto Adige, ma ogni opzione esaminata presentava qualcosa che non ci convinceva pienamente. Alla fine, ne abbiamo trovato uno antico, difficilissimo da raggiungere, ormai in rovina e pericolante. Tuttavia, la sua posizione panoramica, con le vette innevate sullo sfondo e i segni del tempo impressi sulla struttura, lo rendevano perfetto per il rifugio immaginato nel film. Poiché non era agibile, abbiamo girato tutte le scene esterne sul posto, ma ricostruito gli interni in un altro luogo per garantire la sicurezza della troupe e degli attori.
Un’altra ricostruzione è stata quella della carrucola utilizzata dal maestro Cesare, dai suoi figli e dagli studenti per attraversare il fiume in assenza di ponti. Questo sistema è stato realizzato grazie alla collaborazione tra gli effetti speciali e guide alpine esperte: abbiamo installato un cavo di acciaio tra due alberi, progettato per reggere il peso di quattro o cinque persone contemporaneamente, garantendo la massima sicurezza durante le riprese. La scena si basa anche su un prezioso video dell’Archivio Luce, che documentava come i bambini delle comunità montane raggiungessero la scuola utilizzando carrucole di metallo collegate a un cavo d’acciaio. La seduta era costituita da un semplice tronchetto, legato a una corda, che rendeva il tragitto veloce e apparentemente sicuro.
Tutti questi interventi sono stati pensati per rispettare la memoria storica e la realtà dell’epoca, cercando di trasmettere agli spettatori non solo l’autenticità del contesto, ma anche le difficoltà quotidiane affrontate dalle comunità montane. Vermiglio è davvero una scenografia “invisibile”, ma piena di poesia, con le scene che sembrano dipinti. Oltre a Segantini e Pisarro, ci sono altri pittori o artisti a cui fa riferimento?
Sì, assolutamente. Quando lavoro, come accennavo prima, traggo spesso ispirazione dall’arte pittorica, e in questo caso Vermiglio ha richiamato alla mente molteplici riferimenti visivi. La scelta di raccontare questa storia attraverso una poetica della semplicità e dell’essenziale mi ha condotto verso artisti che hanno saputo catturare il rapporto tra uomo e natura con profondità e delicatezza.
Questo non-invadere la scena, ma lasciarla parlare da sola, è una lezione che ho cercato di applicare nel film, mantenendo il punto di vista dell’osservatore sempre discreto e rispettoso.
In particolare, Giovanni Segantini ha rappresentato un riferimento esplorando la vita montana con un’intensità emotiva straordinaria, utilizzando la luce e il colore per esprimere il legame intimo tra l’uomo e l’ambiente alpino. Accanto a Segantini, un altro artista che ha influenzato il mio lavoro è Alfred Sisley: aveva la capacità di rendere visibili non solo la bellezza naturale, ma anche l’assenza, il vuoto, l’eco della semplicità della vita rurale ed è esattamente quello che ho cercato di riportare in Vermiglio.
Un’altra suggestione viene da Ferdinand Hodler, in cui le montagne diventano quasi protagoniste mitiche, simboli di eternità e forza, esprime una tensione tra monumentalità e silenzio. Infine, mi sono lasciato guidare anche da pittori meno noti, ma altrettanto evocativi, come Carlo Fornara, legato al divisionismo, che ha saputo cogliere la luce cangiante della montagna e il senso di appartenenza a un paesaggio intriso di memoria e significato.
Ogni inquadratura del film è stata concepita come un piccolo quadro, dove il rapporto tra luce, colore e composizione cerca di restituire la stessa forza espressiva che troviamo in questi riferimenti pittorici.
Ci racconti qualcosa che le è rimasto particolarmente caro di questo film. E anche del rapporto con la regista e il resto del gruppo.
Quello che mi è rimasto dentro di questo film è sicuramente la coesione tra tutte le persone che hanno lavorato in perfetta sintonia verso un obiettivo comune. Tutti noi siamo stati coinvolti in un processo che andava oltre il semplice lavoro tecnico, ma che incarnava il cuore stesso del racconto.
Maura aveva una visione molto chiara su come voleva raccontare questa storia e renderla un film. La sua apertura verso suggerimenti e punti di vista differenti è stata motivo di unione, cercando costantemente di canalizzare queste idee verso una direzione unitaria, quella della “verità” che voleva raccontare. Essere parte integrante di questo processo è stato un privilegio.
Vito Giuseppe Zito ha firmato, prima di Vermiglio, la scenografia delle serie televisive Skam (per tre stagioni) e Prisma, dei film Margini di Niccolò Falsetti, Noi anni luce di Tiziano Russo e L’età giusta di Alessio Di Cosimo e del cortometraggio Quasi ora di Luigi Pane
"Concentriamoci a fare un gran tifo per lo splendido Vermiglio di Maura Delpero!" ha aggiunto la regista e attrice
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