Ogni anno CinecittàNews incontra le figure professionali che hanno lavorato dietro le quinte del film designato dall’Italia alla corsa per l’Oscar al Miglior Film Internazionale
Mio nonno è italiano, sono nata in Francia ma ho vissuto vent’anni a Roma. Sono molto appassionata del mio lavoro, lo faccio da quando avevo sedici anni. Stavo girando un altro film, a Corvara, quando con largo anticipo sul film mi ha contattato Francesca Andreoli, presentandomi Maura Delpero… e parlando con lei mi sono subito innamorata del progetto, della storia e dei personaggi. Poi con la sceneggiatura, sei mesi dopo, Maura mi ha mandato anche il suo precedente film, Maternal, e lì non ho avuto più dubbi: eravamo nel periodo di Natale 2023, ma lo script di Vermiglio era già bellissimo, e in seguito è maturato ancora. Quindi sono stata assunta dalla produzione francese, Charades. Mi sono confrontata subito con il Costume Designer, Andrea Cavalletto, abbiamo condiviso con lui e Maura le nostre idee per cercare di avere una visione comune. Le ho mandato una moonboard, basandomi sulle foto vere delle persone del paese, e anche dei dintorni, e le è piaciuta… Abbiamo lavorato su questo, e anche alle opere di Bruegel e di Vermeer. Io quando lavoro cerco sempre di ampliare alla pittura, che mi ispira molto. Per questo progetto era anche l’idea di Maura: le guance rosee, i visi puri, belli, pieni… è stato molto importante trovare insieme questa linea.
Con la mia collega Agnieszka Szumacher abbiamo iniziato a fare dei provini a inizio agosto, e ovviamente cercavamo di ritrovare l’epoca, questo senso della natura, che è molto importante in questo film, quindi di sporcare il trucco con una patina molto sottile, leggera, non volevo assolutamente uno sporco brutto. Con dei toni caldi più intensi per la stagione estiva, e un poco più freddi per l’inverno. Per marcare l’estate, anche Mikhail Krichman mi ha mandato delle foto che gli piacevano, con visi molto sudati che ‘perlavano’, per dare proprio il senso del caldo. Quindi abbiamo lavorato un po’ tutti nella stessa direzione, finché non sono arrivati gli attori: quasi nessuna aveva mai partecipato a un film, ma erano tutti molto entusiasti, disposti, collaborativi, abbiamo lavorato molto bene con loro.
Ad esempio su una parte degli adulti extra-cast abbiamo creato le patine che dicevo, e altri effetti: il dottore ad esempio ha un baffo finto, un po’ d’epoca… Poi c’erano i bambini: sia con gli extra che con quelli del cast era tutto un po’ più complicato: dato che loro non rimangono mai troppo sul set, dovevamo essere molto veloci, quindi con l’aiuto delle mamme potevamo fare quelle patine anche su di loro, io avevo preparato dei prodotti senza alcool, in modo che non ci fossero intolleranze o allergie… con i bambini, in generale, dobbiamo stare sempre molto attenti, ma per rappresentare il luogo e la storia dovevano per forza avere anche loro questa patina: soltanto quella, al massimo un po’ di rossore in alcune scene. Ma la difficoltà su di loro era piuttosto quella di cancellare gli ematomi, nasconderli col trucco, perché come tutti i bambini, spesso, giocando si facevano male… magari quando avevamo delle scene raccordate. Uno dei due gemelli, ad esempio, Luis Thaler (Tarcisio), proprio l’ultimo giorno è caduto a casa e aveva un bozzo enorme sulla fronte… la mamma è arrivata dicendo ‘mi dispiace, come facciamo?’… e io le ho detto di non preoccuparsi, che lo avremmo nascosto, e piano piano abbiamo camuffato questo bozzo, che era veramente grosso… Ma i bambini sono così, bisogna avere pazienza, psicologia, perché il cinema è e deve essere solo un gioco per loro.
Con Tommaso Ragno avevo appena finito Iddu, e già sapevo che avrei fatto il film di Maura, dunque gli avevo detto di farsi crescere un po’ i baffi. Quindi lui è arrivato, il baffo non era ancora come doveva essere, quindi all’inizio lo ricreavo io, poi piano piano è cresciuto e abbiamo lasciato quello vero. Il suo personaggio aveva anche una protesi su un occhio, che all’inizio nel progetto era solo una lente, ma io trovavo fosse un po’ ‘vuoto’. Dunque ho proposto a Maura di creare una specie di cicatrice su quell’occhio: per me quella figura di uomo così autorevole doveva avere almeno un segno particolare. Lei era d’accordo, quindi ho creato questa ferita, ispirandomi a quei soldati rimasti sfigurati della prima guerra mondiale, le gueules cassées, che avevano delle cicatrici molto speciali… Io per lui volevo una cosa del genere, quindi abbiamo provato con Tommaso, che è un attore fantastico ed era felicissimo di interpretare quel ruolo e portare quella cicatrice, poi già ci conoscevamo e mi ha lasciato fare… Si metteva anche la lente da solo. La protesi era fatta da un tiraggio ‘a toulle’, in due parti: una sull’occhio e l’altra che tira l’occhio verso la guancia. Poi naturalmente abbiamo lavorato col colore, ed era pronto. Il risultato è venuto molto bene, è piaciuto a Maura, quindi lui è diventato il vero patriarca, con quell’occhio un po’ così…
Su Sara Saraiocco il trucco era molto semplice, mentre su Roberta Rovelli (Adele nel film) ho costruito un trucco per farla apparire un po’ come una madonna, una santa, con la sua pelle chiara, bellissima… insomma la volevo ‘pura’. Quindi solo dei fondotinta chiari, molto naturali, solo un po’ più caldi d’estate, ma che in inverno mettessero in risalto la sua pelle così bianca.
Poi ci sono le ragazze: Martina Scrinzi (Lucia) ha un’evoluzione nel trucco, all’inizio è una giovane innocente, poi pian piano cresce, e dal momento in cui prende l’autobus c’è il passaggio alla maturità. Quindi da lì il trucco è un po’ più da donna. Ma sempre molto sottile, nel mio stile, perché non c’è bisogno di mettere tanto, bastano piccole cose. Un’ombreggiatura che nessuno vede, magari, un sopracciglio un po’ scuro, ma sempre con delicatezza.
Esattamente, essere invisibili. Ma dimostrando che c’è una differenza. Ad esempio l’evoluzione di Rachele Potrich (Ada), è una grande trasformazione. Lei ha un viso molto particolare, che prende la luce in modo straordinario. All’inizio lei era timidissima, e anche nel film ha una grande crescita interiore, alla scoperta della sua sensualità… Poi c’è quella scena bellissima, con Carlotta Gamba (Virginia) che si fa truccare con la cenere della sigaretta. Lei è un personaggio molto indipendente, libera, emancipata, e si fa truccare così da Ada, che vede quanto una donna può risultare bella anche così… Ovviamente la cenere non è efficace come trucco, quindi nelle dita delle attrici abbiamo nascosto un po’ di fard, perché funzionasse. E poi nella scena Rachele arrossisce molto, quindi abbiamo fatto queste guance rosse, ma sempre in maniera molto delicata. Patrick Gardener (Dino Graziadei), invece, non voleva proprio saperne del trucco… Anche per la sua età, era molto ‘resistente’, non gli piaceva proprio. Anche se poi, essendo molto carino e gentile, ci ha lasciato fare, una volta speigate le cose. Poi c’era la piccola Anna Thaler (Flavia), che passa dall’infanzia all’adolescenza, che vive tutte le storie delle sorelle, osserva il papà e scopre il mondo: lei aveva ancor meno trucco delle altre più grandi, ma qualcosa le mettevamo. E Orietta Notari (Zia Cesira, la mamma di Attilio): a lei, come a una vera donna di montagna, abbiamo creato dei capillari più evidenti sulle guance rosse…
Sì, decisamente. Quella per il trucco di Giuseppe De Domenico (Pietro), sul quale partivamo dall’aspetto del soldato, con qualche ferita… Poi, per un po’ di problemi di raccordi tra l’estate l’inverno, abbiamo deciso di creargli la barba, nelle scene del bivacco in montagna: quella è stata in assoluto il lavoro più difficile per me, perché quel giorno ha iniziato a nevicare davvero tanto su quella montagna, e quando siamo arrivati su era tutto congelato, scivolosissimo… Ma io ci tenevo a fare questa barba, perciò con Cavalletto abbiamo deciso di abbinarla a una grande sciarpa, che la coprisse anche un po’… Anche perché, date le condizioni del tempo, il cambio di luce e di scena, ho dovuto crearla in nemmeno quindici minuti… Poi sia a Pietro che Attilio, in quelle scene al bivacco, abbiamo creato delle micro protesi sulle dita, per far vedere il congelamento, con una palette di colori decisamente virata al blu. E alla fine anche di quella parte siamo state molto contente, sia io che Maura.
Sul trucco c’eravamo io e Agnieszka Szumacher, poi una ragazza francese, Sophie Dauchet. Per le scene più affollate, invece, come le feste o l’arrivo dei soldati, abbiamo chiamato delle truccatrici in più, una da Venezia, una da Roma, un’altra da Bolzano… In zona era possibile trovare forse delle estetiste, ma per il trucco cinematografico come lo intendo io, molto sottile, è importante trovare personale adattabile al mio stile. Anche il mio materiale l’ho portato tutto con me, con il camion della produzione. Per quanto riguarda le nuove tecniche, prodotti o ‘maschere’, più o meno tecnologici – alcuni veramente fantastici – mi capita spesso di utilizzarli, ma in altri tipo di film. Per il mio modo di lavorare, la scelta dei prodotti e della tecnica da usare varia da film a film, la determina il progetto stesso: perché è quella stessa tecnica che crea un particolare universo, il vero ‘sapore’ del film. In Vermiglio, lavorare con le dita, a contatto con la pelle, è stato fondamentale per dare questa patina ‘veritiera’, autentica. Ad esempio in questo film non avrei mai usato l’aerografo, anche se avrei potuto, e altri truccatori forse la pensano diversamente. Ma fare le cose a mano, in modo artigianale, ti dà anche un risultato visivo. molto più ‘artigianale’.
Tornando al gruppo di lavoro, allargandomi a tutti gli altri reparti sul set, di quest’esperienza mi resta forte questo sentimento di ‘famiglia’. Maura ha saputo dare questo senso di ‘unità’ all’interno della troupe, anche con gli attori, che erano fantastici. Io poi, oltre che con la mia collega bravissima, ho lavorato anche con due parrucchiere, meravigliose: è stata un’esperienza indimenticabile.
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