DIARIO#7


Venezia come Sanremo. Se è vero che il divo più divo è Mick Jagger in visita privata per vedere Frears e Woody Allen, ma con l’inevitabile bagno di folla sulla passerella del festival per la gioia di Baratta&Barbera. Arrivato all’improvviso, forse anche per mettere una bandierina sul festival dove potrebbe tornare l’anno prossimo produttore con un mega-film bellico (Enigma) sul sommergibile inglese che intercettò i codici segreti di trasmissione dei tedeschi (altro che U-571), l’ex rolling stone è qui senza fidanzata, senza concedere interviste, con appena tre persone al seguito e neppure un invito alla festa di Mtv (ma il network musicale rimedierà certamente entro giovedì sera, sennò che le fanno a fare le feste?): eppure tutti vorrebbero anche solo incrociarlo.
In (quasi) incognito, l’ex marito di Jerry Hall non è esattamente un pesce fuor d’acqua in una Mostra del cinema dove la musica è il massimo della festa. È appena transitato per il Casinò il rockettaro Jon Bon Jovi, attore sottomarino con Keitel, se n’è andata la leader degli Skunk Anansie (un’amica del regista tedesco Tom Tykwer), arriveranno verso la fine i jazzisti di Fernando Trueba. Insomma, la colonna sonora della Mostra è decisamente… musicale, come aveva anticipato il direttore Barbera. E lo è persino per i rigorosi cinesi, perché Platform – tre ore e un quarto accolte in concorso all’ultimo istante e menomale – rievoca gli anni ’80 dell’estrema provincia nord come età post-rivoluzione (culturale) con l’esplosione di una ribellione fatta di pantaloni a zampa d’elefante e chitarre rock. Suona per tutti la musica. Compresi gli italiani.
Roberta Torre, per i fans delle cassette pirata da sparare a tutto volume in un vicolo napoletano, porta qui un musical con Mario Merola e Little Tony come guest star, una hit di Carmelo Zappulla, una bellissima title track, “Sud Side Stori, dalle 6 di sera/ vieni qua e ti scegli la tua nera/ trentamila lire come fosse un girotondo/ trentamila lire a sud del mondo…”. Progetto musicale di Gino Decrescenzo-Dennis Bovell, un protagonista, Bobo Rondelli, solista del gruppo Ottavo Padiglione, nella finzione cantante di piazza col nome d’arte (?) di Tony Giulietto e grande fan dell’Elvis italiano. Che volete di più?
È un rap tra Sicilia e Nigeria, l’opera seconda di Roberta Torre. Mentre un altro film siciliano, Placido Rizzotto, sceglie con gli Agricantus un filo sonoro world music, perfettamente in linea con il racconto “etnico” della Corleone 1948 contaminato al presente e con la narrazione da “cantastorie” del film. Stavolta gli Agricantus hanno rischiato anche un’apparizione in scena (Mario Rivera nel ruolo del padre del bambino-pastore che assiste all’omicidio di Rizzotto e viene eliminato dalla mafia).
Mai più senza score: Alexander Balanescu – martellante, ripetitivo, minimalista – fa buona parte del lavoro per il laconico Il partigiano Johnny di Guido Chiesa, i dilaganti Procol Harum fanno epoca e danno la scossa, soprattutto allo spettatore quarantenne, curiosamente in un paio di film in concorso (I cento passi e Denti), mentre tutti gli altri nostalgici si tuffano in My Generation e tornano virtualmente a Woodstock con Barbara Kopple, documentarista americana da Oscar che ha raccontato l’evento musicale per definizione (tre edizioni fra quella, mitica, del ’69, e il trentennale l’anno scorso: prontamente rievocato in Walk on the Moon).
E mentre fiati e ottoni della Banda Osiris commentano i passi perduti dell’Estate romana di Matteo Garrone, i Buena Vista Social Club diventano gli antesignani di un’invasione di latinos a vario titolo che ci travolgerà: dal sound cubano di Schnabel (meglio noto per il bacio gay) al latin-jazz di Calle 54 di Trueba. Si chiude sabato. Con il flamenco di Tony Gatlif, naturalmente. Accendete l’amplificatore.

autore
06 Settembre 2000

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