A metà festival si può dire. Il cinema italiano sta andando forte. È la sorpresa più positiva di questa Mostra. In concorso e fuori. Molti film stranieri, anche di illustre lignaggio sulla carta, finiscono per deludere: uno su tutti, quel The man who cried che, essendo diretto dalla Sally Potter di Orlando e Lezioni di tango, e interpretato da Christina Ricci, Cate Blanchett, John Turturro, prometteva chissàcosa senza mantenere proprio niente.
Qualcuno pensava che quattro italiani in gara fossero troppi? Abbiamo appena scoperto che erano pochi: avrebbero dovuto essere cinque. Otto minuti di applausi per Placido Rizzottoin Sala Grande lo confermano. Un capolavoro, scrive Roberto Silvestri sul Manifesto. Un film necessario, diciamo noi: arcaico e moderno insieme. Pieno di pathos e di sensualità. Politico ma non solo. Il siciliano Pasquale Scimeca, poco noto ai più ma da dieci anni al lavoro con spirito concreto da indipendente, dimostra di aver metabolizzato la storia della sua terra ma anche un modo di raccontarla che affonda radici nell’oralità contadina, nell’enfasi dei cantastorie (non chiamiamola retorica, per favore, è passione primaria), nello straniamento di una musica contaminata con scale arabe (colonna sonora degli Agricantus, e in scena c’è uno di loro). Il sindacalista Placido Rizzotto è un eroe fine anni ’40 e anche un eroe dei nostri tempi. Più di Harrison Ford, finalmente cattivo. Più di Clint.
I cento passi– subito alla prova delle sale – l’ha già superato, l’“anzianauta” di Space Cowboys. A Cinisi, ed è un’ottima notizia, ha incassato 10 milioni la prima sera. Continuerà a scuotere le coscienze, mentre in Sicilia giurano che la mafia sta vivendo l’ultima trasformazione epocale, non sconfitta ma pronta a reinventare codici di dominio e sopraffazione, a trovare nuovi business non necessariamente clandestini come allora furono la speculazione edilizia sull’aeroporto e il traffico di eroina. Però la gente scende in piazza, come per il funerale di Impastato: erano gremite le anteprime, a Palermo e Cinisi, con Leoluca Orlando che ha ringraziato il regista per aver finalmente scritto una sentenza sempre rinviata, dopo ventidue anni, quella contro Tano Badalamenti. Altri sindaci, i sindaci “antimafia” di Corleone, San Giuseppe Jato e Isnello erano ieri a Venezia, insieme al presidente della commissione antimafia Lumia per Placido Rizzotto.
“Le cose sono cambiate – hanno detto – ma non bisogna abbassare la guardia contro la mafia”. In giro c’è altro cinema italiano che rischia e contamina realtà e narrazione. Il dramma dell’Unità raccontato da Segre in dieci puntate – ieri una hit, la visita di D’Alema in redazione – e persino la sperimentazione di Salvatores, che non meritava, come ha fatto un po’ distrattamente un illustre critico, di essere liquidato in poche righe perché Denti è una ricerca sull’animus maschile magari imperfetta ma vitale e sofferta nella sua violenza emotiva, cromatica, esistenziale. Non più televisione questo cinema è (finalmente) cinema.
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La redazione va in vacanza per qualche giorno. Riprenderemo ad aggiornare a partire dal 2 gennaio. Auguriamo un felice 2018 a tutti i nostri lettori.
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