Il giorno di Salvatores, secondo italiano in gara, salta fuori Giuseppe Tornatore. Due italiani da Oscar, il primo in concorso il secondo il visita “apostolica”. Letteralmente. Perché i cinefiili cattolici (il festival Tertio Millennio, l’Ente dello spettacolo e la Rivista del cinematografo anche online) hanno invitato Peppuccio al Lido per consegnargli un premio appena nato, il premio Bresson, per un film che con Venezia non c’entra niente. Ma siccome il film è Una pura formalità, angosciosa metafora del giudizio finale con Depardieu e Rubini – che guardacaso è anche il protagonista di Denti – si presta a interpretazioni addirittura teologiche. E infatti si è trovato accostato a un libro di “recensioni” papali, i discorsi di Giovanni Paolo II sul cinema, senza troppo sconcertare neanche il non religioso regista siciliano.
Molto più laiche, del resto, le prime immagini di Malèna divulgate in videocassetta, ma con modi da carboneria, dal re dei press agent Enrico Lucherini (le ha mostrate a vip a vario titolo per tutta l’estate passata a Sabaudia…). Fa gola Monica Bellucci discinta, umiliata e offesa, con parrucca platinata da prostituta, in gramaglie, in treno, in tribunale… ovunque inseguita da sguardi invadenti e lascivi mentre ragazzini siciliani appena più grandicelli di Totò Cascio in Nuovo Cinema Paradiso si masturbano alacremente e zie sagge decretano che sono “invasati dal demonio” neanche fossimo in un qualsiasi film coreano.
Barbera avrebbe voluto averlo tutto intero, Malèna. Che invece uscirà con accorta strategia Miramax, prima in Italia, a ottobre, poi a metà novembre negli States. È parlato in italiano (anche se i capitali sono americani) come La leggenda del pianista sull’oceano era anglofono “perché non potrebbe essere diversamente”. Si svolge a Siracusa tra fascismo e dopoguerra. Se piacerà al pubblico – com’è prevedibile – sarà un momento di entusiasmo a cui il nostro cinema va soggetto tra due fasi di sconforto. “Oscilliamo tra ottimismo e depressione, viviamo continui sconvolgimenti, ci sentiamo perennemente in crisi. Forse dovremmo trovare una via di mezzo”.
Anche Salvatores si dimostra “laico” sulla crisi endemica del cinema italiano. Consiglia di volersi bene, di cercare un rapporto con il pubblico internazionale, di rischiare uscendo dai soliti generi. Dice giustamente che siamo geneticamente maldisposti verso il nostro cinema. Denti– metà horror stomatologico, metà tango della gelosia – ha suscitato reazioni di schifo e addirittura di rigetto in certi spettatori/spettatrici che magari amano Cronenberg e i suoi “crash” senza battere ciglio. Salvatores però è fiducioso. Mai così rilassato nonostante le ansie del concorso, cullato da domande partecipi in conferenza stampa dove era accompagnato anche da Anita Caprioli, Sergio Rubini, Paolo Villaggio.
Piacerà agli stranieri e piacerà ai giovani questo film da nove miliardi dove gli effetti visivi si mescolano con emozioni sotto pelle, dice. Piacerà – spiega – a chi non ha pregiudizi su come il cinema italiano dovrebbe essere. “Bisogna correre qualche rischio”, riflette il regista milanese. Lui, di sicuro, l’ha fatto. Maurizio Totti, suo storico produttore, conta sui mercati internazionali, a partire da Toronto e dal London Film Festival. Anche da lì si vedrà se il sogno indiano d’immortalità di Cromosoma Calcutta avrà un futuro. Altro che commedia italiana…
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