DIARIO#14


È stata una buona annata per il cinema italiano. L’ha ricordato Alberto Barbera, in chiusura della Mostra, noi ce ne eravamo accorti giorno per giorno, dai commenti sui giornali, dalle chiacchiere a margine, dagli applausi in sala. Così ci è venuto in mente di fare un piccolo referendum tra critici e giornalisti per capire qual è il cinema italiano, tra i tanti possibili, che ha conquistato il cuore (e la testa) del popolo del festival.
Ecco i risultati:

Enrico Ghezzi (Raitre) Placido Rizzotto perché è un film arrischiato, sbilanciato e intenso
Enrico Magrelli (FilmTV) Placido Rizzotto perché è un bel film
David Rooney (Variety) Placido Rizzotto e La lingua del santo dove ho ritrovato al tonalità di un film che ho amato molto come Il toro
Bruno Di Marino
(Biennale news) I cento passi per l’interpretazione emozionante di Burruano
Alberto Crespi
(L’Unità-Hollywood Party) Denti perché è sorprendente e anch’io ho paura dei dentisti
Silvio Danese (Il giorno) Il buono, il brutto, il cattivo perché si spara e non si parla
Roberto Nepoti (La Repubblica) Lontano in fondo agli occhi, perché è un film da respirare fatto di aromi, odori sgradevoli, pulviscolo
Cristiana Paternò (Tamtam) Estate romana perché i veri fantasmi siamo noi
Bruno Torri
(presidente Sncci) I cento passi perché è una storia davvero bella
Maurizio Di Rienzo (www.cinematografo.it) Il cerchio perché preferisco le storie di donne iraniane a quelle di uomini portoghesi. E comunque viva Denti!
Giuseppe Greco (Adnkronos) It’s a Goat’s Life, il cortometraggio con la capra, perché è il più breve
Cristina Scognamillo (Snc) La lingua del santo, per le idee molto originali, anche visivamente
Fabio Ferzetti (Il Messaggero) Placido Rizzotto perché è quello che usa meglio le carte a disposizione con semplicità, forza e compattezza
Angela Azzaro (Liberazione) Placido Rizzotto perché ricostruisce un pezzo di storia individuale e collettiva parlando del presente
Alessandra Magliaro (Ansa) Il partigiano Johnny perché rende benissimo la solitudine e l’improvvisazione di quei giorni
Dario Formisano (ElleU multimedia) I cento passi, per la serietà del progetto e la capacità di comunicare
Mimmo Morabito (kataweb) Placido Rizzotto perché è un film passionale e profondo e mi ha toccato il cuore
Roberto Silvestri (il manifesto) Il partigiano Johnny perché è il più misterioso
Giuseppe Ghigi (Il Gazzettino di Venezia) Estate romana, perché è una storia di solitudine ed estraniazione in una città che ha perso il volto
Michele Gottardi (La Nuova Venezia) La lingua del santo perché racconta Padova come Pane e tulipani raccontava Venezia e dà del Veneto una lettura inedita
Emanuela Grassi (Panorama) I cento passi perché mi ha emozionato senza crearmi imbarazzo e senza cadere nel cliché
Daniela Sanzone (Tamtam) Animali che attraversano la strada perché ce ne sono tanti e non ne parla nessuno
Maurizio Porro
(Il corriere della sera) I cento passi
Giovanni Bogani (La Nazione-Il Resto del Carlino-Il Giorno) I cento passi perché è antico ma efficace
Flavio Della Rocca (www.35mm.it) La lingua del santo perché mi ha commosso
Carlo Lizzani (regista, presidente Anac) I diritti del ‘900 e Via Due Macelli, Italia di Daniele Segre, per la partecipazione che dimostra in queste testimonianze. Si tratta di film non fiction, ma importanti
Simonetta Robiony (La Stampa) sono molto divisa tra I cento passi e Denti. Il film di Salvatores è originale per forma e contenuti, anche se non è perfettamente riuscito, quello di Giordana è riuscito, ma manca di originalità
Lietta Tornabuoni (La Stampa), L’Espresso) I cento passi, perché per raccontare la storia ha fatto una scelta intelligente non di stile ma basata sul rapporto figlio-padre e su bravissimi attori siciliani
Massimo Giraldi (Filmcronache) La lingua del Santo, perché recupera la tradizione della commedia all’italiana e perché con i due protagonisti, confusi ma pieni di speranza, fotografa l’Italia contemporanea
Stefano Della Casa (direttore Torino Film Festival) I cento passi, perché rischia di più, descrivendo un bel rapporto padre-figlio
Marina Pertile (Agenzia Aga, Film Tv) Placido Rizzotto per l’asciuttezza e il rigore
Marcello Giannotti (AdnKronos) I cento passi, perché non è retorico, pur trattando un tema in cui era facile scadere
Oscar Iarussi (Gazzetta del Mezzogiorno) I cento passi, per il tema della povertà più che per la lotta alla mafia
Alberto Castellano (Il Mattino) Estate romana, il meno pretenzioso e il più rigoroso
Andrea Martini (La Nazione) La lingua del Santo, il più estroso e divertente pur trattando un argomento serissimo: il famoso Nordest di cui tanto si parla senza veramente conoscerlo
Bruna Magi (Gioia) La lingua del Santo, perché è divertente e perché penso che il regista ami da pazzi il santo e Il partigiano Johnny perché è coraggioso nel proporre la visione storica
Maria Pia Fusco (La Repubblica) I cento passi, perché ha un modo di raccontare la storia senza fare comizi
Valerio Caprara (Il Mattino) Ferreri, I love you, un ricordo di un grande regista, che non c’è più

autore
11 Settembre 2000

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