DIARIO#12


Dicono che il punto debole del cinema italiano siano i copioni. Il premio alla sceneggiatura dei Cento passi dimostra che le storie italiane, belle e forti, esistono. E che c’è anche chi è capace di raccontarle. Con energia e originalità, uscendo dai cliché del mafia-movie, in questo caso. E con la collaborazione tra gente di cinema e società civile (Giordana, com’è noto, ha lavorato assieme a Claudio Fava e Monica Zappelli). Il “premio del pubblico” – i giovani che affollano le sale, non solo a Cinisi, e che applaudono la ribellione di Peppino Impastato perché era un ragazzo come loro ma vent’anni prima – dimostra ancora di più che le belle storie ben raccontate riescono a stare al passo col cinema americano e rompono il circolo vizioso, l’equazione cinema italiano uguale noia. Dicono che un altro punto debole del cinema italiano siano i produttori. Ce l’hanno ripetuto anche in questo festival, personaggi storici come Dino De Laurentiis o Goffredo Lombardo. Ma il Leone d’oro a Il cerchio dimostra che pure questo sta diventando un luogo comune. Roberto Cicutto e Lionello Cerri sono stati determinanti nella realizzazione del film di Panahi – per quanto a basso budget – come Leo Pescarolo e Beppe Attene lo sono stati per la Palma d’oro Dancer in the Dark. Mentre Domenico Procacci, sebbene solo come distributore, si è aggiudicato The Goddess of 1967 con la sua Fandango (e ha ritirato la Coppa Volpi al posto di Rose Byrne, già volata a Toronto) grazie all’attenzione costante per il cinema australiano che lo caratterizza. Per il resto la giuria di Milos Forman ha premiato l’impegno “gridato” preferendolo decisamente alla provocazione, alla ricerca, all’estetica. L’orgoglio omosessuale e antitotalitario del film di Julian Schnabel (facendo vincere anche il suo interprete Javier Bardem), l’antifascismo di Liam attraverso un’attrice appena quattordicenne e già erede di Mastroianni, il disagio di emarginati francesi e immigrati maghrebini in La faute a Voltaire (miglior opera prima e una scoperta della Settimana della critica). L’inferno dei baby gangster di Medellin narrato da Barbet Schroeder. Peccato solo che il cinema dell’Estremo Oriente, in fondo il più interessante e promettente in questa Mostra, sia assente dai premi di Venezia 57.

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10 Settembre 2000

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