Possiamo essere di parte? Beh, lo saremo. Per noi che scriviamo le star della 57esima Mostra, più degli americani di turno (Sharon, Clint, lo ieratico-sexy Richard Gere) sono i giornalisti e i poligrafici dell’Unità. Il direttore Caldarola, Maddalena Tulanti, Marco Fiorletta e Toni Jop… Tutti non riusciamo a citarli.
Sì, perché il festival si è aperto oltre che con la passerella ufficiale anche con la prima puntata di Via due Macelli, Italia, il film che racconta il dramma di un giornale che per settantacinque anni è stato nel cuore di molti lettori italiani (e molti hanno continuato a volerlo tenere in vita, magari mandando centomila lire in una busta).
Via due Macelli, Italia, alla maniera di Segre, con un sottotitolo – “Sinistra senza Unità” – che forse bisognerebbe rovesciare in “Unità senza sinistra”, ha fatto il suo esordio in Sala Volpi alle 13.30. E sarà la telenovela del festival. Una soap in dieci atti, tra i cinquanta minuti e l’ora e mezza, che fa dieci ore di immagini, cinquanta prima che Daniele Segre ci mettesse le mani al montaggio, tra l’annuncio di ospitarlo alla Mostra dato da Barbera in conferenza stampa e oggi.
Esordio in diretta per un film-fiume, nato in diretta. A luglio il documentarista torinese stava andando in Sardegna, nel Sulcis, e si è sentito con Alberto Crespi, il critico dell’Unità. Ha fiutato nella crisi del quotidiano di Antonio Gramsci – una crisi terminale, sfociata nella liquidazione del giornale e nel licenziamento di giornalisti e poligrafici – un caso chiave per la sinistra italiana. È entrato in redazione. Ha lasciato quasi sempre accesa la videocamera. Ha registrato nelle “storie” di quelli che hanno fatto il giornale la “storia” di un partito che cambia nome e pelle e forse perde l’anima. Ha ricostruito vicende di direttori col casco coloniale in testa e di altri direttori dai molti sogni di carriera, mentre il giornale, pezzo pezzo, perdeva la sua identità e anche i lettori.
“Sono davvero in questione l’identità della sinistra e l’autonomia politica della sinistra”, dice ora Caldarola mentre, contemporaneamente, a Roma, dal ministro Salvi, inizia la trattativa con un piano editoriale, quello di Dalai. “Anche il film ha contribuito a sbloccare la situazione, a dare trasparenza a una vicenda che si cercava di dare come preconfezionata”, ha commentato ancora il direttore che con coraggio è rimasto fino all’ultimo a combattere chiedendo risposte ai “padroni”.
Discussione e visibilità contro chi ha immaginato di occultare una liquidazione selvaggia come questa. E dunque “spalmare” il film sulla Mostra è anche un modo per occupare lo spazio, come i braccianti senza lavoro occupavano le terre ai tempi di Di Vittorio. L’Unità online (20.000 contatti al giorno) è stato un altro. Mentre alla festa nazionale il film di Segre non è stato invitato, ma lo faranno vedere per tre giorni a Bologna, per iniziativa della Cineteca di Bologna, Liberazione ha chiesto al regista un intervento al convegno sul cinema di lotta; Luciana Castellina spera che se ne possa fare un “evento politico europeo” anche grazie all’Archivio storico del movimento operaio. Arte ha intenzione di acquistarlo.
Intanto qui a Venezia nessun politico: né Veltroni o D’Alema e neppure i tanti leader che nel film si vedono, da Cossutta a Cofferati, da Reichlin a Ingrao, a parte Giuseppe Giulietti. “L’assenza dei politici – riflette Segre – fa parte di quel silenzio assordante che ha circondato la vicenda dell’Unità e con cui dovranno fare i conti”. Il seguito alle prossime puntate.
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