VENEZIA – Ci sono fratellanze che superano i legami di sangue, soprattutto nelle periferie più difficili dove a dominare è la legge del crimine e della sopravvivenza. In una di queste è ambientato Fratelli nemici di David Oelhoffen (Far From Men) in concorso a Venezia 75 e nelle sale italiane dal 28 marzo con Europictures. Un film che si allontana dai cliché tradizionali del poliziesco all’americana, con protagonisti due amici d’infanzia cresciuti come fratelli in un sobborgo delle banlieue parigine dominato da spaccio e narcotraffico. Da adulti i due prendono due strade opposte: l’uno, Manuel, sceglie di abbracciare la vita criminale, mentre l’altro, Driss, all’improvviso la rinnega diventando poliziotto. Quando, però, il più grande affare di Manuel va storto, i due si incontrano di nuovo e si rendono conto che entrambi hanno bisogno dell’altro per sopravvivere nei loro mondi. Nonostante tradimenti e rancori, riscoprono l’unica cosa rimasta a unirli nel profondo: l’attaccamento viscerale al luogo della loro infanzia e una lealtà reciproca che nulla sembra in grado di intaccare.
Il regista, che aveva rivelato di essersi ispirato a Gomorra di Matteo Garrone precisa, però, di aver fatto un film del tutto diverso: “Ho amato moltissimo Gomorra, un vero capolavoro che esprime un punto di vista tipicamente italiano. E’ un tipo di film che grida verità e non cerca di scimmiottare le pellicole americane, in questo senso lo considero un modello. Ma Fratelli nemici è un film differente, adattato al contesto francese che non può avere le stesse immagini e lo stesso sguardo sulla realtà sociale. Forse può esserci qualche frase di Gomorra che mi ha ispirato, ma certo non l’ho copiato”.
Il film è interpretato dai brillanti Matthias Schoenaerts (Blood Ties – La legge del sangue, The Danish Girl) e Reda Kateb (Tutto sua madre, Zero Dark Thirty), per la prima volta insieme sullo schermo: “Era tanto tempo che volevamo lavorare insieme, l’occasione è stata l’incontro fortunato con il regista”, sottolinea Matthias Schoenaerts che nel film intrepreta un pusher che è anche, però, un compagno e un padre affettuoso: “Fare lo spacciatore è il suo modo per sopravvivere in questo pazzo mondo ma non è il suo essere. Non mi piace pensare ai personaggi come oggetti inseriti in delle categorie. La verità emotiva va indagata a 360 gradi, non è detto che quello che si fa per vivere rispecchi la propria anima, anzi è proprio da questa frizione tra quello che si fa e quello che si è, che nascono i personaggi più interessanti”.
Per la prima volta nel ruolo di un poliziotto Reda Kateb, che interpreta uno sbirro della narcotici, di origini arabe e dai modi poco ortodossi, che proviene proprio dalla stessa periferia dominata dalle leggi del narcotraffico che cerca di debellare. “È una figura che esiste oggi in Francia quella dell’agente di polizia che viene da un quartiere preciso, che sa muoversi in certi ambienti proprio perché gli appartengono, che è un repubblicano e che sente l’interesse sociale come un’esigenza forte”.
Molto presente nel film anche la cultura araba, come del resto lo è nella società francese. “Non c’è famiglia in Francia che non abbia almeno un solo legame con qualcuno in Algeria – sottolinea il regista – Il centro della Francia e il Maghreb sono intimamente legati, come frutto del nostro passato e della nostra tormentata storia coloniale. Il film è uno sguardo sulla società che ci circonda, ma si interessa in particolare alle persone che vogliono cambiare le cose, le caselle in cui sono state messe dalla società”.
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