Daniele Segre: piano sequenza al cimitero

Il regista torna al Torino FF con Morituri, commedia macabra in forma di pièce teatrale in cui ci fa incontrare tre donne di mezza età che rappresentano tre archetipi femminili rispetto all'uomo


TORINO – “Mi riempiono di premi, lauree ad honorem e medaglie, ho avuto persino quella del presidente della Repubblica Napolitano, ma non trovo distributori per i miei film e la Rai non ha mandato in onda Morire di lavoro, sugli incidenti nei cantieri edili in Italia, che pure è stato presentato al Parlamento europeo. Però non voglio polemizzare, del resto sono orgoglioso di essere fuori mercato e non rinuncio al mio modo di lavorare che mi dà felicità”. Daniele Segre non smentisce il suo essere controcorrente. Lo conosciamo dai tempi di Partitura per volti e voci se non prima e lo ritroviamo sempre combattivo, pronto a cogliere la realtà, nelle sue tante forme, con il suo cinema che passa dalla biografia (Lisetta Carmi, Luciana Castellina, Morando Morandini) ai temi del lavoro, del carcere, dell’emarginazione sociale. E’ instancabile e indipendente il 63enne autore che con il suo ultimo lavoro, Morituri, presentato al Tff (Festa mobile Palcoscenico), ci ha spiazzato. Commedia macabra in forma di pièce teatrale in due atti, terzo elemento di una trilogia iniziata con Vecchie (2002) e proseguita con Mitraglia e il verme (2004). Con entrambi questi lavori condivide la scelta di una macchina da presa fissa e la necessità di un incontro umano ravvicinato e senza pietà: in questo caso siamo di fronte a un ritratto femminile a tre voci tutto giocato all’interno di un cimitero. Proprio di fronte a una fila di loculi dove sono sepolti alcuni personaggi di diverse età e condizioni, evocati solo attraverso le parole, interlocutori muti e garbati che si confondono con lo spettatore, ecco tre donne di mezza età – Nora, Aurora e Olimpia – che rappresentano tre condizioni di vita rispetto al maschile (quasi tre archetipi: la zitella, la divorziata e la vedova). E che si svelano ai morti e bisticciano tra loro. Ne emergono risentimenti senili e sogni adolescenziali di fiori d’arancio, stizzite vendette e adulazioni.

“Il punto di vista fisso, cifra espressiva che accomuna la trilogia – spiega il regista di Alessandria – mi è servito per rafforzare le unità di tempo, luogo e azione su cui è scandita la drammaturgia del film. Ogni personaggio di Morituri, come d’altronde negli altri due ‘quadri’ della trilogia, porta con sé la propria storia e la propria solitudine, per approdare a una dimensione sospesa e astratta che rende la storia universale e senza tempo”.

Teatro filmato – e non a caso Morituri è anche uno spettacolo che approderà il 2 aprile sul palcoscenico di Anghiari – il lavoro si avvale del lavoro di tre puntuali interpreti: Tiziana Catalano, Donatella Bartoli e Luigina Dagostino. “Abbiamo provato a lungo negli spazi della Torino Piemonte Film Commission per arrivare alla precisione che ci ha permesso di scandire il film, fotografato da Luca Bigazzi, in un piano sequenza iniziale di 23′ che compone il primo atto e in un secondo atto frammentato in nove piani sequenza più brevi”, racconta Segre. Che è partito, nella scrittura condivisa con Antonio Manca, dal luogo, l’ex cimitero, ora diventato spazio scenico, di San Pietro in Vincoli. “Così come Mitraglia il verme nasceva dalla suggestione di un pisciatoio come unica location”. 

Produce la sua società I Cammelli, che ha appena compiuto 34 anni di attività e che continua a lavorare a pieno regime nonostante le difficoltà economiche, come esempio virtuoso di cinema resistente (“Non a caso ci chiamiamo cammelli”). Da lui ci aspettiamo ora un film sullo scontro di civiltà in atto tra Islam e Occidente: “Può darsi, ma non sarà un documentario, del resto odio questa definizione, il mio è cinema della realtà”. 

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