Gibilterra e la Romania, il Friuli e il Cono Sur. Corso Salani è un viaggiatore quasi settecentesco. Nei suoi viaggi, sempre eccentrici, scrive lunghi diari. Da quei diari – impubblicabili dice – nascono film segreti. Intimi. Cinque appena da Voci d’Europa (1989) a Palabra, attualmente al montaggio. Spesso non distribuiti – ma Occidente è uscito in sala, grazie a Gianluca Arcopinto – talvolta segnalati dai festival più attenti. Corrispondenze private è stato a Torino e Alpe Adria. Adesso Infinity Festival gli dedica addirittura una personale nel segno del cinema apolide e orgogliosamente marginale.
Il basso budget più che un limite è diventato il fulcro del tuo cinema.
Non sono un talebano del basso costo, ma mettermi nelle mani di un produttore classico per me sarebbe complicato. Una volta ho pensato di fare un film “normale” e ho anche chiesto e ottenuto un finanziamento, ma poi non sono andato avanti. I miei lavori neppure esistono per il Ministero, non hanno la nazionalità. Devono essere prodotti da gente che rischia al 90%, anzi al 100%. L’unico con cui riesco a lavorare è Gianluca Arcopinto.
Come mai?
Perché Gianluca ha un rispetto enorme del lavoro degli altri. Con Palabra sono partito per il Cile senza neanche sapere chi sarebbe stata la protagonista del film.
Particolare fondamentale…
I personaggi femminili sono sempre più centrali nel mio cinema. Direi addirittura che il mio cinema è la costruzione visiva della protagonista: filmarla significa farla esistere.
“Palabra” ha una struttura narrativa più forte rispetto al solito?
Diciamo di sì. E’ la storia di una geologa spagnola che, durante una missione sulle Ande, incontra un ingegnere italiano che lavora alla costruzione di una diga. C’è una storia d’amore molto intensa che lui interrompe con un certo cinismo e che viene poi raccontata da lei alle amiche a Santiago.
“Corrispondenze private”, invece, è molto più personale ma è anche un saggio sul tuo cinema con momenti di tutti i tuoi film precedenti.
In realtà non lo considero un film, ma una lettera indirizzata a una donna. Sono persino sorpreso che venga attribuito un valore critico a queste cose perché non c’è molta teoria dietro: per me è una forma spontanea.
Hai lavorato anche come attore, per esempio con Marco Risi. Ti piace?
Molto. L’ultima cosa che ho fatto è L’ospite segreto di Paolo Modugno da un racconto di Conrad. Sono un ufficiale di marina con la divisa bianca: ufficiale e gentiluomo. Mi ha divertito.
Lavori da solo al montaggio?
Ci ho provato con Corrispondenze private ma poi il computer mi ha cancellato tutto. No, in realtà, anche se soffro a veder tagliare, credo che un occhio esterno sia indispensabile. Come quello di Monica Rametta in fase di scrittura.
Come scegli i luoghi dove girare?
In vario modo, spesso casuale. Per esempio, per Palabra avevo bisogno di un vulcano che si trova in un paese delle Ande dove ero già stato. Ogni film nasce da viaggi precedenti e da interminabili appunti di viaggio.
Cosa ami vedere da spettatore?
Tutto, dal film d’azione a quello d’autore. Sto andando a vedere The quiet american e già so che mi piacerà.
Tra gli italiani?
Dipende dal film. Un’anima divisa in due l’avevo amato tantissimo, poi Pane e tulipani mi ha deluso. Moretti mi piace molto ma La stanza del figlio, stranamente, non mi ha commosso, forse perché già sapevo che si piangeva. Muccino è un urlìo continio anche se gira bene e mi sta anche simpatico. Calopresti lo ammiro perché si espone molto, soprattutto con l’ultimo film. Mi piace chi rischia in prima persona.
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