COME E’ NOIOSO VISCONTI


Tanto per cominciare un dato meramente statistico: Ogni maledetta domenica, ultimo discusso film di Oliver Stone, vanta la bellezza di quasi 3.700 stacchi di montaggio; La terra trema di Visconti ne conta appena 526 più o meno a parità di durata.
Per un pubblico come quello di oggi, abituato alla martellante estetica del videoclip e ai ritmi incalzanti di cui Stone è un coerente sostenitore, un’opera viscontiana non può non apparire lenta e – nella sua magniloquenza, nello splendore figurativo che la contraddistingue, nella complessità di visione che si fa contemplazione – irrimediabilmente, tristemente, inesorabilmente NOIOSA.
Perché dovrebbe essere bello, allora, vedere oggi un film di Visconti? Che senso potrebbe avere per un giovane che non sia uno storico o un critico, dato che lo stile del regista, pur così viscerale, si è fatto, di colpo, così datato (ed era inattuale già all’inizio degli anni ’60)?
Che i giovani vedano il cinema di Visconti dipende da una mera questione di gusto. Può piacere o non piacere in base all’indole dello spettatore che può semplicemente lasciarsi ammaliare dal fascino del film in costume (così che Senso e Il Gattopardo divengono dei parenti poveri di Guerra e pace o Anastasia), oppure può lasciarsi andare ai gesti melodrammatici di tante pellicole (e, allora, Rocco e i suoi fratelli diviene un parente appena un po’ più intellettuale di Catene).
Eppure il fascino del cinema viscontiano andrebbe ricercato di più nella sua specificità, anche come anticipatore del cinema di oggi. Così diverso, così vicino.
In un periodo, come questo, affascinato dalla contaminazione di generi e stilemi, la straordinaria capacità di assimilare alto e basso, colto e popolare in un unicum di incredibile compattezza, anche se all’interno di un’opera che non ammette salti di tono virtuosistici e fini a se stessi non può non colpire. In un’epoca come la nostra, così attratta dal melodramma (Carax, certo nuovo cinema di Hong Kong, Scorsese, Coppola, certo Eastwood, ecc.), la riflessione insuperata del regista sulla forma melodrammatica non può non essere intesa come lezione di stile ancora profondamente attuale.
Ma il motivo di maggior fascino di Visconti è l’abilità di trovare (anche negli ultimi film) problemi di profonda attualità e restituirli in tutta la loro complessità, attraverso una resa dialettica delle contraddizioni, ma anche della vitalità, della sua visione. Non credo di poter dire di conoscere nessun regista italiano le cui opere siano invecchiate meglio di quelle di Visconti. Forse perché questi film nascono già vecchi, ma di un vecchio che non sa di muffa, perché ha la sotterranea ma prorompente vitalità dei grandi maestri.

10 Maggio 2000

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