BERLINO. Non è andato bene negli Stati Uniti, e si gioca il tutto per tutto sul mercato europeo The Good German di Steven Soderbergh, che in Italia uscirà col titolo Intrigo a Berlino. Ennesimo esercizio di stile di un regista americano che ama il cinema europeo, The Good German cita in lungo e in largo il cinema di Rossellini, di Curtiz, di Carol Reed. Comincia come Germania anno zero e finisce come Casablanca. George Clooney è il Bogart di turno. L’amico di Soderbergh – sei film girati insieme – si ritrova nella Berlino del’immediato dopoguerra, in un intrigo nel quale si mescolano americani, russi, immagini di repertorio con il congresso di Yalta e il volto bellissimo di Cate Blanchett, tedesca con un passato oscuro, e un presente pieno di rischi.
Il film è immerso in un bianco e nero da anni ’40, persino la grafica dei titoli è “d’epoca”. Le macerie di Berlino bombardata appaiono a manciate. Poi , dopo un inizio scintillante nella sua patina d’epoca, si sprofonda in interni. E non se ne esce quasi mai. Tutto sembra già visto, specialmente da uno spettatore europeo, che magari Rossellini e De Sica li ha masticati nelle tv private. Clooney si prende pugni da tutti, e sullo sfondo ci sono le file per il pane, un mutilato di guerra, aereoplani luccicanti e minacciosi sotto la pioggia, i sotterranei della U-Bahn come la Vienna de Il terzo uomo. “Non mi importava il suo esito commerciale – dice Steven Soderbergh – E’ esattamente il film che avevo in mente, e questa per me è una grandissima fortuna”. Ma come fa, gli chiede un giornalista danese, a fare questi film a Hollywood, film che sono così lontani dagli standard produttivi dei grandi studios? “Chiedo”.
“Poi il film è costato molto poco – aggiunge il regista – Vedete le strade bombardate, vi chiedete quali effetti speciali ci siano, e in verità abbiamo coperto di nero la parte superiore degli edifici, così che non si vedesse e l’edificio sembrasse devastato. E abbiamo girato trenta volte nelle stesse strade, ma con punti di vista differenti”. George Clooney è il grande assente a Berlino. Non viene spiegato il perché della sua assenza tra l’altro, lui di Berlino è un habitué ma Soderbergh si profonde in elogi dell’amico: “Abbiamo fatto sei film insieme, e ci siamo incontrati quando le nostre carriere erano tutte e due in un punto basso. Io non ho avuto nessuna esitazione: ho visto in lui la stoffa della star, ho capito il suo potenziale”. Gli fa eco Cate Blanchett: “George è una persona con cui è facilissimo lavorare, sempre allegro, pieno di humour e veloce. E nonostante questo, ha la forza e il carisma di un’icona del cinema”. E lei? “Io sono una mamma che fa anche l’attrice”. E che, tra una passeggiata e l’altra con i bambini, ha trovato il modo di farsi candidare all’Oscar.
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