Claudio Giovannesi: “Da Alì al carcere femminile”


“I festival gratificano: perché ricevi conferme, perché ti confronti con giurie internazionali e cinematografie di altri paesi, perché prolungano la vita di un film ben oltre la sala cinematografica”. A parlare è il giovane regista Claudio Giovannesi, fresco di Premio Mario Verdone al XIV Festival del Cinema Europeo di Lecce. Si dichiara “soddisfatto e anche un po’ emozionato”, dato che dopo i riconoscimenti nazionali il suo Alì ha gli occhi azzurri sta per volare oltreoceano, per rappresentare l’Italia al Tribeca Film Festival di Robert De Niro. Anziché adagiarsi sugli allori, Giovannesi pensa già alla sua opera terza (la prima fu La casa sulle nuvole nel ’98), senza mai allontanarsi dal percorso di osservazione del reale e narrazione della società attuale. Perché il buon cinema, sostiene, dev’essere “vicino all’essere umano”.

Di cosa tratterà il suo prossimo film?
Questa volta vorrei raccontare una storia femminile: la detenzione di una adolescente in un carcere minorile. Non sarà facile: intanto perché le ragazze di oggi sono creature splendide ma complesse, poi perché ci sarà da raccontare cosa succede tra quelle mura.

Perché scegliere un punto di vista femminile?
Credo sia più facile e interessante avere uno sguardo su qualcosa che porta su di sé la grazia.

Ha già un nome in mente?
No, dovrò fare milioni di casting e sicuramente dovrò puntare su un’attrice non professionista, perché a 16 anni non esistono attrici. Penso che guarderò nelle scuole, e negli stessi istituti penitenziari.

Poi dovrà convincere un produttore a finanziarle un altro film sul connubio mondo adolescenziale e disagio sociale.
E’ vero, però lo stesso Alì ha gli occhi azzurri dimostra che film del genere hanno una vita molto più lunga della semplice permanenza in sala: a ottobre uscirà in Francia, e l’Europa ha un pubblico curioso, attento alle forme più autoriali e non solo all’intrattenimento. Inoltre, cosa che mi rende felice, rappresenteremo l’Italia in concorso al Tribeca Film Festival. Per altro, io non lo considero un film sul disagio sociale, ma sugli adolescenti contemporanei: ho raccontato solo la realtà, che è contraddittoria e può essere anche tragica.

Una volta superato lo scoglio della produzione, ci sarà da pensare alla distribuzione: il web può aiutare un film “difficile” a circolare e farsi conoscere.
Certo, il web non è solo il futuro, è il presente. Lo stesso risultato elettorale è dipeso dal web, che si è dimostrato il nuovo mezzo di comunicazione di massa, sorprendente, democratico, ricco. Trovo sia una grande risorsa: personalmente riesco a recuperare film di cinematografie lontane che altrimenti non avrei modo di vedere, in più è un nuovo spazio su cui poter fruire film e serie. Manca la possibilità di vedere le immagini in alta qualità, ma ci arriveremo presto. Ormai sappiamo che la sala cinematografica è un luogo magico, ma non più l’unico dove poter vedere un buon film.

Ha detto, giustamente, che in Francia c’è un’attenzione diversa nei confronti del cinema: come potremmo sfiorare gli stessi livelli, secondo lei?
Lì hanno una cultura cinematografica diffusa. Credo che in Italia chi si occupa di Beni Culturali e di Pubblica Istruzione dovrebbe pensare prima o poi ad una legge per proporre l’insegnamento del cinema sin dalla scuola elementare, perché è patrimonio dell’umanità. Benché sia un’arte giovane, con poco più di un secolo di vita, si è evoluta enormemente nel tempo, rappresentando l’essere umano in tutti i suoi passaggi, e merita di entrare nel percorso formativo dei più giovani.

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17 Aprile 2013

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