“Ho letto questo libro bellissimo, poi abbiamo preso i diritti, ma non ho pensato subito alla regia: nella terza parte della mia vita pensavo più di produrre. Con curiosità Medusa ha letto la storia e da lì subito Fabio Bonifacci ha cominciato a trasformare il romanzo in sceneggiatura e, dopo qualche riunione, mi hanno proposto la regia; la mia riserva era solo sullo riuscire a trovare le facce giuste. I quattro bambini sono attori e quando, dopo parecchi mesi, ho trovato loro ho detto: sì, posso farlo”, così Claudio Bisio racconta il suo esordio dietro la macchina da presa per L’ultima volta che siamo stati bambini, dal romanzo di Fabio Bartolomei.
Il 16 ottobre ricorrono 80 anni dal Rastrellamento del Ghetto di Roma, cuore fisico e storico della storia, raccontata in prima persona da Italo (Vincenzo Sebastiani), Cosimo (Alessio Di Domenicoantonio), Wanda (Carlotta De Leonardis, già ne L’arminuta) e Riccardo (Lorenzo McGovern Zaini): figlio di un militare fascista, il primo; di un dissidente del regime, il secondo; orfana di entrambi i genitori, la bambina; e ebreo l’ultimo; ma, tra loro, tutti amici, in quel frangente in cui la guerra incombeva davvero e al contempo era spunto di gioco. “È stato facile lavorare con Claudio perché ha mantenuto l’innocenza di bambino, era parte del gruppo di bambini, per cui è stato facile comunicare con lui i bisogni” commenta l’interprete del bimbo partito per la Germania su un treno… su quel binario che gli altri tre piccoli decidono di percorrere per andare a recuperarlo, senza molta consapevolezza della destinazione.
Mentre, la seconda colonna portante del racconto è affidata a Agnese e Vittorio, suora lei, fascista recalcitrante lui. “Ho insistito molto sul lato commedia nel battibecco tra di loro, che mi hanno ripetuto ‘non ho mai fatto commedia’, quasi a dire ‘non siamo adatti’: in un film forse non-commedia hanno regalato dei toni che magari prima non avevano; non perdeteli” sprona Bisio, riferendosi agli interpreti Marianna Fontana e Federico Cesari. Se lui ha “trovato nel confronto-scontro con la suora la parte più interessante, vedendo come adempiere a dei ruoli nella società non riesca a soddisfare a pieno come persona, per cui l’andare a vedere come il meccanismo si scardina è stato l’aspetto più interessante”; per l’attrice “i personaggi sono due adulti con lo sguardo dei bambini: la stessa suora perde le sue certezze e scopre se stessa; un viaggio fatto con Federico, in cui Claudio è stato molto empatico”.
“Questo è il film che volevo realizzare, con questo tono soprattutto”, continua Bisio. “La difficoltà più grossa è stata far capire… al meglio del cinema italiano che ho conosciuto io – da Pivio alle musiche con De Scalzi, a Italo Petriccione alla fotografia – il tono del film, che è anche una favola, però credo mi sia riuscito. Io avevo in testa cosa realizzare ma la fatica da opera prima è stata trovare le parole per farmi capire, come le palette… colori, cose con cui da attore non hai a che fare: io prendevo tempo su tutto ma il mio aiuto regista mi ha suggerito di essere più decisionista. È una storia di fantasia ma immersa in un mondo vivido, quello della Shoah”.
E questa storia, con il suo tono in equilibrio tra commedia e tragedia, è stata accolta anche dalla senatrice Liliana Segre, che ha fatto pervenire a Claudio Bisio un messaggio all’anteprima del film, in cui gli riconosce la capacità di “…rendere freschezza e innocenza dei bambini, con un tratto sensibile da offuscare la tragedia”.
Fabio Bonifacci – che con Bisio ha scritto la sceneggiatura, di un film che nella messa in scena omaggia il gesto dell’ombrello di Sordi ne I vitelloni, ma anche Il bambino con il pigiama a righe – racconta: “quando abbiamo parlato le prime volte ci siamo detti sarebbe bello riportare qualche atmosfera di Si può fare, ma non avevo idea di come farlo, non ho formule: credo, infine, ci sia però qualcosa, e credo sia il particolare rapporto tra commedia e tragedia, appunto; il fatto che ci sia tra le righe una tragedia che si consuma impedisce di fare commedia facile, eppure c’è commedia pura, ovvero una realtà che fa davvero sorridere; la presenza di una tragedia ti costringe a una commedia più seria. Inoltre, abbiamo a che fare con dei bambini del ’43: noi mandiamo all’avventura tre che non hanno molte informazioni, così ci danno la loro lettura della realtà, magari sbagliata ma più illuminante”.
Di questa commedia tinta di tragedia, e viceversa, appunto opera prima di Claudio Bisio, lo stesso s’è dedicato prettamente alla regia, concedendosi solo mezza posa da attore, per cui: “ho rivisto immagini del Duce, non è stata una parodia, ma iperrealismo. È stato faticoso dirigere e recitare; nasco attore e non lo rinnego ma la storia non prevedeva ruoli per me, e sono contento che così fosse. E non so se una prossima volta reciterò di più”, prossima volta a cui, chiarisce subito lui, “non sto pensando, ma per cui c’è voglia, sì”.
Per Giampaolo Letta (di Medusa, che ha co-prodotto e distribuisce) è “un film a cui vogliamo molto bene, sin dall’inizio: c’è molto piacere ad aver realizzato e ad offrire in sala questo film perché credo che siano doverose storie con un significato profondo, in un’epoca in cui ci scordiamo tante cose; abbiamo organizzato un programma per le scuole e credo potremo dare un contributo alla Memoria. C’è statoun percorso di scrittura cominciato proprio con la comunità ebraica di Roma: un’intensa e proficua collaborazione; volevamo essere corretti nelle storie e nella rappresentazione”.
Pivio, infine, riferisce di aver “trovato il Bisio-regista una persona preparata e con le idee molto chiare. Io dubbi non ne ho visti, piuttosto una persona con indicazioni precise: è stato un gioco con un faro e… ci sono i sentimenti? Facciamoli senza paura: questa è stata la base del lavoro” che – musicalmente parlando – chiude con La storia siamo noi di Francesco De Gregori.
Il film esce in sala il 12 ottobre in 350 copie.
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