Claudio Bisio: “Oggi come nel ’43, i bambini in guerra sono solo vittime”

Claudio Bisio porterà la sua opera prima, L'ultima volta che siamo stati bambini, alle Giornate del Cinema per la Scuola di Palermo, proprio in occasione dell'80° anniversario del rastrellamento del ghetto di Roma, attorno al cui ruota la trama del film


Il 16 ottobre si è celebrato l’80° anniversario del rastrellamento del ghetto ebraico a Roma, un evento che dà il via alla trama di L’ultima volta che siamo stati bambini, debutto da regista di Claudio Bisio che sta avendo un ottimo riscontro al box office. Il celebre attore e comico porterà il suo film – oggi, 17 ottobre –alle Giornate del Cinema per la Scuola di Palermo, dove incontrerà pubblico e docenti in un contesto pensato appositamente per approfondire il valore formativo potenziale del cinema.

Claudio Bisio, il suo film è il miglior debutto del weekend. Quali sono le sensazioni di questo primo fine settimana da regista?

Eccezionali. Oggi si celebrano gli 80 anni del rastrellamento del ghetto, che è la storia che noi raccontiamo, anche se la data non viene mai citata nel film. Anche perché, insomma… quattro bambini che giocano nella Roma del ’43, e a un certo punto uno di loro – il bambino ebreo – scompare: noi sappiamo già che quel giorno è il 16 ottobre. Sono tutto eccitato perché abbiamo fatta una proiezione al Cinema Adriano a Roma, molto bella, con delle scuole, la comunità ebraica e il vicesindaco. C’è stato anche un dibattito alla fine con me i bambini protagonisti del film. Durante la proiezione ho visto i ragazzi ridere. Mi ricordo me alla loro età, quando i professori ci portavano al cinema, spesso si era distratti, non è una scelta che fai tu. Oggi, invece, li ho visti coinvolti, perché il film accalappia con la sua leggerezza e poi alla fine quando c’è un finale un po’ drammatico – non poteva finire bene, ovviamente, un film così – li ho visti anche commuoversi. È stata una cosa forte, potente, una sensazione che si unisce poi ai i numeri del weekend, che dicono che siamo il film più visto.

Qual è il messaggio che vorrebbe arrivasse agli studenti che guarderanno il film?

Non voglio accusare la scuola, né tantomeno gli insegnanti, ma spesso al ‘900 ci si arriva con l’affanno. Soprattutto la seconda guerra mondiale. Come è accaduto oggi, spero che accada anche a Palermo che gli insegnanti ci ringrazino, perché potranno tornare in classe e affrontare questi temi senza fare la tradizionale lezione di storia sul fascismo. Io non ho fatto un film pensando al fatto educativo, abbiamo pensato al lato artistico: a metà strada tra commedia e tragedia, un po’ come sono io. Quando capisco che il film può essere un supporto agli insegnanti per poi parlare di cose che loro sanno spiegare meglio di me, è una gioia tripla.

Sente la responsabilità di veicolare quello che è successo 80 anni fa alle nuove generazioni che, in questo momento, stanno riscoprendo, in modo diverso che cosa sia una guerra?

Sento questa responsabilità, ma un po’ all’improvviso. Me ne rendo conto solo adesso, leggendo i giornali, neanche di questi giorni, di queste ore. Sia il libro da cui è tratto il film, che la sceneggiatura sono entrambe precedenti all’invasione da parte della Russia in Ucraina. La guerra era iniziata da pochi mesi quando abbiamo iniziato a girare. Mi sono reso conto di stare facendo qualcosa di molto, molto attuale. Guardando quello che sta accadendo in Medio Oriente e nel mondo, sento una tripla responsabilità, però anche pensare che sto facendo una cosa non solo bella, ma utile.

Nel film, spesso il punto di vista è quello dei piccoli protagonisti. Quanto è importante imparare o reimparare a guardare le cose con gli occhi di un bambino? Lei ha mai smesso?

Pensando anche al titolo del film, mi viene da dire che forse non ho mai smesso di essere bambino. È fondamentale il punto di vista dei ragazzini, perché ci ha dato una libertà di scrittura, soprattutto nei dialoghi. Dicono delle cose, anche divertenti e folli, perché scorrette e stonate rispetto a quello che potrebbe dire un adulto, che sia – parlando di quell’epoca – un fascista o un partigiano. I bambini non capiscono, a volte ripetono le cose che sentono a pappagallo. Uno dei bambini è un balilla, figlio di un gerarca fascista e ogni tanto dice delle cose buffe perché si capisce che le ha sentite da suo padre. Dice: la perfida Albione! Un bambino di nove anni, che neanche sa chi sia. È scappato bagaglio! Che sarebbe Badoglio. Insomma, ho visto in sala la gente ridere per la loro ingenuità. Guardando le immagini dei bambini uccisi, anche decapitati, da Hamas, e poi anche la reazione di Israele nella striscia di Gaza con le prime vittime che sono stati proprio bambini e donne, ti rendi conto che i bambini sono solo vittime, e il nostro film racconta proprio questo. Il balilla può dire cose fuori luogo, ma è un bambino, l’altro è un ebreo, poi c’è un’orfanella accudita da una suora cattolica, il quarto è il figlio di un comunista prigioniero politico. I quattro protagonisti rappresentano quattro aree politiche e ideologiche differenti, ma nel film questo non si vede. Sono quattro bambini, quattro amici. Questo non è un film sulla Shoah, è un film sull’amicizia. In questa situazione tremenda della seconda guerra mondiale, dei bombardamenti, dell’Italia devastata, vince l’amicizia. Se noi adulti imparassimo a essere anche un po’ ingenui, come i bambini, sarebbe molto meglio.

Carlo D'Acquisto
17 Ottobre 2023

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