MILANO – Cinzia Bomoll percorre da tempo in parallelo i territori della narrativa e della sceneggiatura, della produzione e della regia, così come quelli del noir e dell’horror e, ancora, quelli della provincia, non raramente ispirazione per il genere.
Il Noir in Festival in corso a Milano la ospita come membro della Giuria del Concorso Internazionale, oltre che per la presentazione del suo quarto romanzo, appena edito.
Cinzia, esordisce nella scrittura letteraria nel ‘98 quando Einaudi Stile Libero pubblica un suo racconto nell’antologia Quello che ho da dirvi, poi nel 2006 esce il suo primo romanzo, il noir Lei che nelle foto non sorrideva: adesso è il tempo de La ragazza che non c’era. Chi è la Bomoll scrittrice, quale ponte c’è tra quella prima pubblicazione e questo romanzo, e c’entra il cinema in tutto questo o sono due mondi attigui ma distinti?
Io ho scritto fin da piccola, partecipando a questo concorso di cui appresi via radio: veniva chiesto di mandare racconti sul disagio giovanile e partecipò un sacco di gente, il mio fu tra i 18 racconti selezionati per l’antologia; fu una spinta per cominciare a pensare che dalla scrittura per hobby potessi pensare alle pubblicazioni e infatti cominciai a scrivere il primo romanzo, che uscì con l’editore Fazi: un buon esordio, anche commercialmente andò bene. Ma… una mia passione è sempre stata anche il cinema: da filmmaker scrivevo e giravo cortometraggi indipendenti, partecipando a festival, con i primi riscontri. Ho pensato che la scrittura fine a se stessa potesse diventare anche una scrittura per immagini e questo istinto naturale è diventato una sorta di doppio lavoro. Quando scrivo, un po’ come tutti gli scrittori, penso ai miei personaggi, si diventa amici, si vive con loro quotidianamente, per cui poi immaginare anche degli attori viene spontaneo, soprattutto se guardi tanto cinema. Quando però scrivo i romanzi tendo a pensare solo alla narrativa, perché curo molto lo stile di scrittura: poi, possedere dinamiche interne simili alla sceneggiatura è un’altra cosa che mi viene spontanea, sempre cercando di tenere l’attenzione viva; soprattutto, quando scrivo, io penso al lettore, perché una delle mie più grandi paure è annoiare, per cui mi metto nei loro panni, voglio essere anche lettrice di ciò che scrivo, per me è molto importante il lettore, bisogna essere corretti in questa considerazione.
Siamo al Noir in Festival: qual è il suo rapporto con il genere, sia nella scrittura letteraria che nel cinema? Ha vinto anche il Solinas Italia-Spagna nel 2020 con un film horror psicologico.
Il genere è il mio preferito, sia quando scrivo, sia da vedere, per cui qui a Milano mi sento calata nella mia atmosfera, con le dinamiche di suspense, di mistero, della scoperta di chi sia il colpevole. Confermo ci sia, e continui a esserci, un pubblico affezionato al cinema di genere, perché penso ci sia un coinvolgimento maggiore, forse anche perché stiamo vivendo un periodo storico in cui siamo calati in situazioni abbastanza noir e poi, forse, è sempre viva nell’animo umano la curiosità di voler scoprire; la struttura noir, o thriller, non ti illude, mentre a volte le commedie col lieto fine sono consolatorie ma fino a uno certo punto, perché rischi di aver la sensazione di farti prendere in giro, e la gente credo sia più realista e preferisca, più dell’illusione, guardare la verità.
E in quest’ottica chi è La ragazza che non c’era? Quanto noir c’è in questo romanzo e… pensa potrebbe trasformarsi in una sua visione per il cinema?
Sì, potrebbe ma… essendo un romanzo seriale – già mi hanno commissionato i due successivi -, più che cinema potrebbe essere una serie: c’è il personaggio principale, c’è la linea orizzontale che si può spargere nelle varie puntate, e poi ci sono i casi, è proprio una struttura che si presta per la serialità. Ho iniziato a scrivere il romanzo nel periodo del lockdown, in cui ero tornata da Roma in Emilia Romagna per stare in campagna, rivivendo così la provincia, certe atmosfere settentrionali rarefatte e così ho pensato potessero essere adatte proprio per un noir e da lì Nives Bonora, il personaggio, m’è venuta come una donna che vive in una piccola cittadina ma allo stesso tempo è ribelle e moderna, emancipata, cerca di lottare in un mondo di uomini, in particolare quello chiuso e pieno di pregiudizi della provincia. Ho voluto mettere queste dinamiche femminili calate in una dimensione che poi riflette la maggior parte dell’Italia, fatta di realtà di provincia.
Noir in Festival quest’anno la vede anche impegnata nella Giuria chiamata a scegliere tra i film del Concorso principale: da autrice lei stessa, e nel confronto con gli altri giurati, cosa va cercando, cosa andate cercando?
Cerchiamo soprattutto che sia un film bello, ci metteremo d’accordo discutendo sul film migliore pensando sia al pubblico, sia alla struttura noir, che può essere anche non quella classica, anche perché le cose stanno cambiando: i noir moderni spesso sono calati nella nostra realtà, c’è un nuovo filone, per cui cerchiamo un film che abbia la capacità di mostrare una tipologia più attuale.
Nel Concorso c’è anche Profeti di Alessio Cremonini.
Bellissimo. È piaciuto a tutti, proprio perché la struttura del noir ti tiene costantemente attaccato e allo stesso tempo ha un contorno storico-politico realistico, rientrando così proprio nell’idea di noir moderno. È ancor più noir pensare che siano cose che succedano veramente: c’è quindi anche questo fattore-verità che è molto importante, oltre al messaggio preciso. Da regista, mi è piaciuto abbia scelto una protagonista donna e Jasmine Trinca è strepitosa, un’interpretazione meravigliosa: vivi con lei la paura, ti porta dentro e resti nel film: inoltre, c’è il coraggio di Cremonini di parlare di certe cose e con onestà, analizzando bene la situazione. Alessio è un grande regista, che sta facendo operazioni necessarie, giustamente già riconosciuto per questo suo bisogno di dichiarare: mi piace molto come consideri i personaggi femminili, è bello guardare registi uomini che s’interessano della psicologia femminile.
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