Parthenope, con oltre un milione di biglietti venduti, continua a registrare un enorme successo di pubblico. Per lei l’ennesimo progetto al fianco di Paolo Sorrentino, ma non solo.
Per me è stata un’esperienza bellissima: Parthenope mi è rimasta nel cuore. In primis, per la nuova collaborazione con Paolo (Sorrentino, ndr.) che va avanti da più di dieci anni, e poi perché sono tornato nella mia città natale, Napoli. È lì che ho vissuto fino a quando, finita l’Accademia di Belle Arti, mi sono trasferito a Roma. Mi capita spesso di tornare per qualche giornata o nelle feste a casa dei miei, ma non mi era più successo di starci in pianta stabile per dei mesi, a contatto con la gente… Vestendo tutte quelle figurazioni, sia a Capri che nei vicoli del centro, ho intrecciato un rapporto meraviglioso con gli abitanti. Una su tutte, la scena di Capodanno, girata nel caldo di Ferragosto: è stata una grande avventura, perché tutte le centinaia di donne, uomini e bambini, presenti nella scena girata nei veri bassi di Forcella, dovevano indossare cappotti e sciarpe pesanti, per far sentire il freddo della povertà. Nella grande contraddizione di Napoli, che passa da tutto questo alle grandi ricchezze delle ville di Posillipo o delle strade di Capri.
Qual è stato il primo input visivo che ha ricevuto dal regista?
Con Paolo facciamo sempre un’analisi molto precisa dei personaggi: dato che scrive i propri film, ha sempre le idee molto chiare. Poi, trasformare visivamente la sua scrittura è il compito del mio lavoro: devo portare dei suggerimenti, delle proposte su quello che immagino, che non sempre coincide con quello che immagina lui, al quale spetta sempre l’ultima parola anche sul mio lavoro.
In diversi incontri con il regista, con la direttrice della fotografia, Daria D’Antonio, e lo scenografo, Carmine Guarino, abbiamo deciso tutta la ‘coloritura’ del film. All’inizio Parthenope è una ragazza molto solare, in una Napoli meravigliosa, negli anni ’50-’60, dove i colori sono protagonisti; man mano, si arriva ad anni più bui e i colori della sua vecchiaia si fanno sempre più spenti, malgrado Paolo abbia voluto vestire Stefania Sandrelli con nuance chiare, che ricordassero la sua giovinezza.
Dal punto di vista dei costumi, è stato un film molto complicato, anche perché erano presenti tantissime comparse. A Palazzo Fuga avevamo a disposizione uno spazio di 1200 metri quadri, dove avevamo diviso in sezioni separate tutti i costumi necessari per scandire le diverse epoche che scorrono nel film, e dove abbiamo provato migliaia di figuranti, oltre naturalmente i protagonisti e i piccoli ruoli.
Sempre a Palazzo Fuga, abbiamo installato un grande laboratorio con le nostre tagliatrici e le nostre sarte, che non hanno mai smesso di confezionare durante tutto il film gli abiti necessari per scene particolari (la fusione, la discoteca di Capri, le ospiti all’inaugurazione della nave da crociera).
L’abito-gioiello indossato da Parthenope/Celeste Dalla Porta nella scena con il vescovo (Peppe Lanzetta).
L’abito-gioiello in mostra a Cinecittà, che nel film indossa Celeste Dalla Porta, è una mia grande soddisfazione, su cui ho lavorato molto. Da napoletano, conosco molto bene la storia del Tesoro di San Gennaro, al quale ci siamo esplicitamente ispirati: la sola mitria dell’originale è composta da 4000 pietre preziose, ognuna con la sua simbologia: dai rubini che rappresentano il sangue di San Gennaro, ai diamanti che riportano alla purezza, fino allo smeraldo che richiama la fede. Mentre la mitria è stata realizzata nel 1700 e così è rimasta, il collare ha subito delle aggiunte fino e oltre il 1920: tutte le famiglie reali del mondo, in visita al Tesoro, lasciavano in dono un gioiello o una pietra preziosa che venivano puntualmente inserite nel collare. E le donazioni arrivavano continuamente, anche dal popolo. Nel pettorale ci sono addirittura alcuni orecchini lasciati dalle popolane, perché il Tesoro di San Gennaro non appartiene né allo stato italiano né al Vaticano, bensì al popolo di Napoli. Ha un valore maggiore di quello della casa reale inglese e di quello degli zar in Russia: è il tesoro in assoluto più prezioso al mondo.
Nel film abbiamo modificato alcuni pezzi preziosi, mettendo anzitutto il collare intorno alla cintura: Paolo all’inizio avrebbe voluto ‘un costume che ricordasse la Dea Calì’; a mano a mano, però, una volta realizzato e indossato da Celeste in prima prova ci siamo resi conto che sarebbe dovuto essere ancora più opulento. Per questo, abbiamo fatto aggiungere a Pikkio – il laboratorio di gioielli con il quale collaboro da sempre – alcune croci, e abbiamo ingrandito le proporzioni di tutti gli elementi dorati. La scena di quel costume era ambientata in una sagrestia in notturna, perciò si doveva sentire ancora di più la brillantezza delle pietre: la magia della fotografia ha fatto sì che tutte quelle pietre false sembrassero vere.
L’abito indossato da John Cheever / Gary Oldman
Collaboro da molti anni con la Sartoria Cesare Attolini di Napoli, che dopo essere stata guidata per anni da Cesare Attolini è ora in mano ai due figli, Giuseppe e Massimiliano. È una casa di moda molto particolare, conosciutissima in tutto il mondo – hanno negozi anche a Londra e negli Stati Uniti – perché ha uno stile tipico tutto suo: un richiamo all’eleganza inglese con dei ‘tocchi’ napoletani. Lavora il cachemire più bello del mondo: hanno realizzato circa 50 vestiti per John Malkovich (nella serie The New Pope, ndr.) di cui 20 erano del cachemire più prezioso, ma anche molti abiti per Jude Law ( nella serie The Young Pope n.d.r.), tutti gli abiti per Michael Caine in Youth e quelli indossati da Tony Servillo in Loro.
Sono sempre della Sartoria Attolini le famose giacche colorate di Jep Gambardella interpretato sempre da Tony Servillo) nel film La Grande Bellezza, i cui costumi furono firmati da Daniela Ciancio.
La Sartoria Attolini è famosa anche per una costruzione delle spalle molto particolare, morbida e destrutturata; naturalmente nel nostro caso sono stati rispettati gli stili dell’epoca, degli anni ’50 , ’60 e ’70.I loro occhielli, le asole, le rifiniture dei colli e delle tasche sono tutti cuciti a mano, proprio come le spalle, perché abbiano una certa ‘caduta’ sul corpo. È meraviglioso entrare nel magico edificio degli Attolini, perché è evidente quanto ancora credano nell’artigianato. Come in una sola famiglia, le loro centinaia di impiegati lavorano con ago e filo in mano. La Sartoria Attolini non ha firmato soltanto l’abito di Gary Oldman, ma anche quello di Silvio Orlando e di tanti altri uomini protagonisti. Quello di Gary è un abito di lino irlandese, realizzato anche nella versione a pantaloni corti, tipicamente americana, anche se nella mostra è esposta solo la versione con i pantaloni lunghi. Quell’abito doveva essere indossato da un personaggio particolare: un intellettuale un po’ folle, sempre sopra le righe, con accessori strambi, come papillon e foulard coloratissimi. Come sempre, Paolo mi ha descritto molto bene il personaggio di John Cheever, il celebre scrittore statunitense, famoso anche per aver condotto una vita sregolata, gran parte della quale trascorsa in viaggio. Negli anni, scivolò sempre più nella depressione alcolica fino a tentare il suicidio. L’abito che indossa riflette un’eleganza estrema ma anche un po’ decadente. All’inizio, avrei voluto invecchiare e logorare l’abito più di quello che ho fatto, ma poi ho avuto lo scrupolo di esagerare: il mio obiettivo, come costumista, è anche quello di far in modo che il pubblico non percepisca mai che un costume confezionato ad hoc in sartoria venga indossato dall’attore così come è, “lindo e pinto”, ma che invece dia il senso del vissuto del personaggio e della sua storia (a meno che la sceneggiatura non lo preveda).
La collaborazione con Saint Laurent
Quella con Saint Laurent è stata una collaborazione meravigliosa: è stata la prima volta nella mia carriera che ho lavorato a fianco di una Maison così prestigiosa. Anthony Vaccarello, direttore creativo della casa di moda francese, non solo ha co-prodotto il film (con la Saint Laurent Productions), ma ha voluto anche realizzare gli abiti di alcune protagoniste femminili, come Celeste Dalla Porta, Isabella Ferrari, Stefania Sandrelli e Luisa Ranieri, e alcuni interpreti maschili. È stato molto stimolante: abbiamo deciso insieme i modelli, le forme e i tessuti. Sempre insieme, abbiamo fatto stampare ex novo disegni anni ’70 ormai introvabili nelle stoffe sul mercato, per realizzare le camicie dei ragazzi, Raimondo e Sandrino, e l’accappatoio in spugna indossato da Isabella Ferrari. Di più, Vaccarello ha dedicato un’intera sezione dei suoi laboratori solo al film, in cui lavoravano svariati suoi artigiani. All’inizio, siamo andati noi, con le attrici e gli attori, a Parigi per le prime prove; poi, durante le riprese, veniva un gruppo di sarti e collaboratori della Maison per provare gli abiti, che tornavano a Parigi per essere corretti e modificati, e man mano ritornavano da noi sul set, con un viavai di assistenti di Anthony, tra Parigi e Roma, Napoli e Capri.
Il miniabito argento di georgette ricamato, indossato da Parthenope/Celeste Dalla Porta, realizzato da Saint Laurent
Si tratta di un miniabito di seta ricamato con canottiglie e piccole paillettes, meraviglioso ma molto delicato, che ha richiesto molto lavoro: è stato realizzato in India (dove è stato anche rimandato per effettuare diverse correzioni che assecondassero le esigenze del regista). Paolo voleva una cosa semplicissima, luminosa, per accentuare proprio la leggerezza e la semplicità di quel preciso momento della vita della protagonista, che doveva avere un aspetto etereo, sia in discoteca che durante la passeggiata per Capri. È davvero un abito magico.
L’abito in seta nero indossato da Parthenope/Celeste Dalla Porta, abbinato alla eco-pelliccia, realizzato da Saint Laurent
È un abito molto semplice, di crêpe satin nero con lo strascico e 2 spacchi vertiginosi che Saint Laurent ha generosamente realizzato in tre copie, perché inizialmente doveva essere indossato anche da una stunt-woman, che doveva girare al posto dell’attrice le pericolose scene sulla moto nella notte di capodanno a Napoli , ma anche perché Celeste lo avrebbe dovuto indossare per la lunga sequenza delle scene nei vicoli e sulla nave da Crociera. Anche in questo caso, l’indicazione di Paolo era di un abito semplicissimo, supersexy, senza grandi orpelli. La pelliccia è ecologica, realizzata appositamente in Cina, con una qualità davvero altissima: devo ammettere di non aver mai visto nulla di così realistico.
L’abito dorato indossato da Greta Cool/Luisa Ranieri, realizzato da Saint Laurent
Il personaggio di Greta Cool è quello di una diva, un’attrice molto famosa, che doveva apparire come una dea: l’idea di prendere un jersey laminato oro è nata dalla volontà di farla assomigliare a una divinità egiziana, un’icona di grande effetto, con riferimento agli abiti indossati da Liz Taylor in Cleopatra.
Tutti gli abiti che lei ha disegnato per Parthenope esposti a Cinecittà ci parlano di un lavoro molto intenso dal lato del costume: cosa le resta dentro di quel film?
Un bellissimo ricordo. È come aver rivissuto la mia città e aver scoperto un’altra faccia di Napoli, sempre bellissima ma contraddittoria, proprio come quella mostrata nel film: una città fatta allo stesso tempo di cose meravigliose e cose orrende. E questo vale anche per i napoletani, che hanno un carattere unico: nonostante tutti i problemi, la corruzione e la camorra, riescono a superare sempre tutto, anche in periodi particolarmente bui come quelli del passato recente. Io credo che Paolo in questo film abbia fatto un lavoro favoloso: è un racconto in cui ha sintetizzato sempre di più l’immagine. Arrivo a dire che è l’immagine che parla: una grande sfida anche per il costume, che viene così molto fuori.
Sta dicendo che in Parthenope il costume “parla”?
Esattamente. Paolo nei suoi film presta un’attenzione quasi maniacale a tutto ciò che deve comparire davanti alla macchina da presa; in primis agli attori e alle attrici, alla scenografia e all’arredamento, ma osserva anche l’ultima comparsa, che deve essere perfettamente attinente alla scena che sta girando e al mondo che sta raccontando. Altri registi, invece, si preoccupano soltanto degli attori e del loro stretto contorno. Paolo sceglie personalmente tutte le facce delle figurazioni, vuole assistere alle loro prove costume e se non ha il tempo di farlo, devo mostragli le foto di come sono vestiti prima che entrino in scena per poter esprimere la sua opinione anche sull’ultimo accessorio, fosse una cravatta, un orecchino o il tacco di una scarpa. Tutto questo mi rende molto felice, perché è un modo di lavorare che valorizza i miei costumi.