MILANO – Erano tante, straniere, francesi, tedesche, italiane, tutte recluse perché considerate pericolose. Tra il 1939 e il 1940 un gruppo di donne in lotta per la libertà e di “condotta sospetta” sono state recluse in un campo di internamento a Rieucros, nel sud della Francia. I libri di storia non ne parlano. Grazie alle pagine del libro “Rivoluzionaria professionale” dell’internata Teresa Noce, la regista bergamasca Chiara Cremaschi è riuscita a raccontare in un documentario, anche attraverso i materiali dell’Istituto Luce, i percorsi, i sogni e le frustrazioni di queste donne che, a modo loro, hanno anticipato il movimento femminista degli anni ’70. Il film si chiama Indesiderabili, presentato in anteprima a Milano nella rassegna Invideo insieme a Parole per dirlo-Dalla parte delle bambine, breve diario di Chiara bambina, che a nove anni, nel 1970 scopriva il significato dell’emancipazione femminile attraverso la militanza politica della madre. Cinecittà News l’ha intervistata.
Chi sono le indesiderabili?
Nel mio documentario le indesiderabili sono esuli politiche, scappate dai paesi europei con regimi fascisti e rifugiate in Francia. Ma erano classificate indesiderabili anche le prostitute, le ladre e le criminali comuni, radunate nel campo d’internamento insieme a tutte le donne che la Francia voleva nascondere per la vergogna.
Nel film sono raccolte testimonianze e ci sono materiali originali prodotti dalle donne internate, come i disegni e le fotografie alternate alle immagini dell’Istituto Luce con la voce off dell’attrice Camilla Filippi.
Volevo raccontare la resistenza di queste donne tenaci di fronte alla segregazione del campo, a come siano riuscite a non farsi abbattere e a ribaltare la situazione a loro favore trasformando quel momento drammatico in una forma di solidarietà e di creatività. Ho raccolto i loro disegni e i loro diari, testimonianza del fatto che in quel luogo hanno imparato a fare cose nuove, apprendendo una dall’altra.
Da dove vengono le testimoni?
Queste donne provenivano da tutta Europa, quindi sono andata a cercare notizie a Parigi, Berlino, Praga, Roma, Firenze. Per i disegni, le lettere e i racconti sul campo mi sono fatta aiutare dagli studi della storica tedesca Mechtild Gilzmer e dalla fondazione francese che raccoglie i documenti ritrovati nel campo di Rieucros. Tra questi, le foto scattate dalle guardie da inviare alle famiglie delle donne recluse, per dimostrare che lì al campo stavano bene, mentre in realtà pativano la fame, il freddo e vivevano in condizioni igieniche tremende.
Come ha composto il filo narrativo attraverso le immagini di repertorio?
Le immagini mi sono servite per raccontare la vita nel campo, abbinate alle pagine di Teresa Noce che descrivevano la loro quotidianità.
Nell’altro documentario: “Parole per dirlo-Dalla parte delle bambine”, lei mostra la battaglia delle femministe negli anni ’70, ma attraverso la lettura schizofrenica della generazione delle bambine di allora. Un’esigenza nata da dove?
Sono cresciuta in una famiglia in cui la politica era come il pane. Un tema che affronterò nel mio prossimo film, in cui finalmente racconterò gli anni ’90, gli anni della Pantera studentesca: gli anni in cui ho iniziato a fare politica come mia libera scelta. Parole per dirlo è stato un modo per capire chi ero e chi avevo intorno, perché davo per scontato che l’infanzia fosse stata così impegnata politicamente per tutti e invece non lo era. Esisteva un mondo più leggero e e spensierato, che io non conoscevo e non sapevo come spiegarmelo o farmelo spiegare dai miei genitori. Il film è stato anche un modo per apprezzare quello che mi ha trasmesso la mia famiglia.
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