“Chiamami ancora amore nasce dal desiderio di raccontare quel passaggio delicato che qualsiasi coppia con figli ha attraversato, un momento di trasformazione e conflitto. È il punto di convergenza di due storie famigliari, il momento in cui ci ritroviamo inaspettatamente a rimproverare all’altro di essere come suo padre o sua madre. È una prova che ci obbliga a rifondare il patto amoroso, o a distruggerlo”, spiega Giacomo Bendotti, che ha ideato la serie, autore di soggetto e sceneggiatura con Sofia Assirelli. “La definizione di ‘crime famigliare’ mi piace molto perché l’intenzione è stata di scrivere come cambi l’amore tra due persone quando si diventa una famiglia, quando due amanti diventano anche due genitori, dovendo ritrovare un equilibrio da ricostruire da capo: mi sembrava interessante una chiave d’indagine e una delle ispirazioni è stata Kramer contro Kramer, tanto che l’inizio è quasi un omaggio; l’idea di scrittura si muove dal costruire intorno ad un grande scontro tra una madre e un padre, con un’assistente sociale che ricostruisce una parabola di due famiglie d’origine, che entrano in conflitto sull’educazione del figlio”, continua ancora l’autore.
“Quando per la prima volta ho letto il testo di Giacomo ho sentito pulsare una grande modernità di racconto, da rispettare nella messa in scena, quindi l’artificio cinematografico non era adatto a questa storia: c’era bisogno di stare addosso agli attori, con la macchina a mano, quasi fosse un documentario, ed era la mia ambizione, spogliando la regia dell’artificio spettacolare; poi, grazie a un gran numero di inquadrature si dava ritmo alla scena”, spiega il regista, Gianluca Maria Tavarelli.
Odio cieco, vendetta, umiliazione, un fondo nero, inimmaginabile prima, quando l’amore era tale con la propria delicatezza e il proprio essere assolutamente espressione di cura dell’altro, mentre adesso questa tutela e protezione affettive si sono trasformate in una furia: Anna Santi ed Enrico Tagliaferri, cui danno vita Greta Scarano e Simone Liberati, sono i poli della storia, che hanno deciso di distruggere, distruggendo se stessi, perché solo chi ami, a cui affidi il tuo cuore, le tue fragilità, ti conosce così nelle pieghe del profondo da poter essere capace di frantumarti, tanto – così accade – da necessitare l’intervento dei servizi sociali – nella figura di Rosa, interpretata da Claudia Pandolfi, empatica con i piccoli, rigorosa con gli adulti – per valutare la capacità genitoriale, dopo la separazione.
“L’assistente incarna un pò lo sguardo del pubblico e delle persone esterne alla coppia”, precisa Bendotti. “Per il rapporto con l’assistente sociale, credo Giacomo abbia creato qualcosa di unico: con il mio personaggio, sono due donne che si aprono gli occhi a vicenda, qualcosa che ricorre nelle mie amicizie femminili; ritengo che il ‘femminile’ sia stato raccontato in maniera dirompente, innovativa, realistica”, fa eco Scarano.
Come immaginabile c’è un passato personale scatenante, uno più buio e provante per Anna, un altro più lieve e banale per Enrico: l’una ha sempre saputo di non voler vivere mai all’ombra di un uomo, l’altro s’è felicemente lasciato portare dal sereno destino del vivere di provincia. La tessitura del tutto è affidata appunto a Gianluca Maria Tavarelli, che cura la regia di 6 episodi, tre serate in prima visione dal 3 maggio su Rai 1 e in anteprima – episodio 1 e 2 – su Rai Play da lunedì 26 aprile.
“Ad Anna mi ci sono avvicinata in punta di piedi: dovevo raccontare la maternità e non sono madre, ma era importante restituire credibilità; abbiamo lavorato per cercare di essere il più realistici possibili, tutti quanti, e la messa in scena di Tavarelli ce l’ha consentito, c’era sempre un rapporto molto intimo con la macchina da presa. La cosa più interessante, da interpreti, è indagare le sfaccettature degli esseri umani: sono stata felice di domandarmi cosa significasse essere madre ma anche sola: come interprete, è molto più interessante rispetto a ciò che è patinato, rifuggo tutto questo anche nella vita reale, come sui social, usando più ironia. In questa serie abbiamo fatto di tutto per restituire la verità, così anche la bellezza è venuta in secondo piano: se sono una madre che non dorme da giorni, ho le occhiaie insomma! È una storia piccola, comune, però ha qualcosa di speciale: è messa sotto una lente d’ingrandimento e poi loro nascondono segreti che crediamo il pubblico voglia scoprire. Anna è molto distante da me, ha rinunciato a fare quello che voleva nella vita per laurearsi prima, per prendersi cura del figlio, cosa a cui io sono stata attenta, per mettere al primo posto la mia realizzazione professionale, quindi la mia felicità di persona. La serie racconta senza fronzoli, anche la maternità, e sicuramente mi ha confermato che il carico della maternità sia molto pesante, soprattutto quando senza aiuti esterni: dall’altro, il diventare genitore è qualcosa di eccezionale e ho maturato l’idea di adottare, per dare gli strumenti a qualcuno per stare al mondo, sicuramente l’idea di crescere qualcuno mi spaventa meno rispetto a prima. Anna mi ha lasciato l’importanza di stare in coppia scendendo un pochino a compromessi, ma senza distruggere i propri sogni: non l’avevo mai provato prima di Anna, ma può essere davvero sfinente”, riflette Greta Scarano.
“Credo che la bellezza di questa storia sia il punto di vista femminile: penso sia la prima serie che racconta la maternità da un punto di vista femminile, quanto sia meraviglioso ma anche complesso, e questa sia un’altra sfaccettatura dell’amore. Il titolo, Chiamami ancora amore, è stato cambiato in corsa, era La promessa, e qui non c’è la canzone di Roberto Vecchioni: la scelta finale ci sembrava quella più onesta, perché la serie racconta una storia d’amore con tutte le sue difficoltà, la racconta in un modo molto totale, per cui ci pareva giusto che dentro il titolo fosse chiaro quello che lo spettatore andava a vedere”, precisa Tavarelli.
“La pasta, un pò di tutti i personaggi, è la dose di errori che li caratterizza, cosa che fa parte di un racconto drammaturgico: partire da una riflessione sugli sbagli è necessario; i nostri personaggi sono coinvolti talmente tanto nell’esperienza relazionale che diventa difficile dar conto di errori, torti ricevuti, e si entra nel turbinio di rinfacci e errori, una parte fondamentale della complicazione del loro rapporto, qualcosa che fa parte dell’essenza umana. Enrico mi ha lasciato tantissima ricchezza e ho potuto accettare l’inevitabilità degli errori che la vita ci porta a fare. Il merito più grande della storia è di interrogare gli animi, a patto che si accetti di lasciarsi interrogare”, dice Simone Liberati.
“Raccontare le cose che accadono realmente nelle nostre vite, le storie d’amore, le famiglie, i figli, è la sfida più difficile ma anche quella più appagante per un produttore”, dichiara Francesca Cima per Indigo Film. “Riuscirlo a fare con un linguaggio contemporaneo, ma al tempo stesso caldo e avvolgente, ci rende molto fieri di questo progetto. E’ il risultato di un importante lavoro di squadra che si riflette in tutte le componenti artistico-produttive”.
Chiamami ancora amore è una produzione Indigo in collaborazione con Rai Fiction, in associazione con About Premium Content: “La Rai ci ha consentito di spingerci, da un punto di vista narrativo, oltre certe complessità di racconto, con molta libertà, è un grande cambiamento: si possono raccontare in tv storie in maniera più complessa e profonda, allo spettatore viene riconosciuta la capacità di saper seguire storie più strutturate”, tiene a puntualizzare il regista.
“Chiamami ancora amore è un potente mélo, un genere che porta nella storia la realtà dei sentimenti, lacerati e feriti, l’amore che si rovescia nell’odio, il bisogno di una ricomposizione. Mi piace pensare a Chiamami ancora amore come a un laboratorio in cui il dolore alimenta una speranza”, dichiara il direttore di Rai Fiction, Maria Pia Ammirati.
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