PALERMO – Marco D’Amore che cammina tra le strade dell’estrema periferia napoletana, sul volto il naso rosso di un pagliaccio. L’attore diventato celebre per il ruolo di Ciro in Gomorra va dall’altra parte della barricata interpretando il protagonista di Criature, il nuovo film della regista italo-francese Cécile Allegra presentato in anteprima assoluta come apertura delle Giornate del Cinema per la Scuola 2024 a Palermo.
D’Amore interpreta Mimmo, un personaggio ispirato a Giovanni Paolo Savino, educatore napoletano che utilizza l’arte circense per strappare i giovanissimi dalla dispersione scolastica. Con lui Marianna Fontana, Alessio Gallo e dei giovani attori come Maria Esposito e Giuseppe Pirozzi, che dopo l’esperienza in Mare Fuori si confermano come due interpreti di grande talento e sicuro avvenire nel nostro cinema.
Criature uscirà nelle sale italiane dal 5 dicembre distribuito da Medusa Film.
Cécile Allegra, cosa intente quando dice che per lei Napoli è un simbolo di resistenza per ricomporre un’identità italiana?
Io penso che Napoli sia una grande lente di ingrandimento di quello che succede in Italia: ci sono sacche di povertà che sono terribili, piazze di spaccio che non hanno paragoni in Europa, ma c’è anche una grande resilienza. Ho visto persone martirizzate dalla vita alzarsi e continuare a combattere contro la loro stessa condizione, senza rassegnarsi. Si dice spesso che la presenza del Vesuvio influenza gli abitanti di Napoli, che hanno questa coscienza del fatto che la vita è breve e che quindi bisogna combattere con la vita. La mia visione era di fare un film con un impegno politico, anche se è un parolone, perché credo che ci sia in Italia una battaglia sulla questione della dispersione scolastica che è tremenda. I finanziamenti vengono spesso ridotti, il terzo settore è agli stremi. Si chiudono i rubinetti di servizi essenziali. Ci sono quartieri interi che vivono solo perché ci sono operatori sociali che non si sa perché, sacrificandosi, vanno in giro per le strade a recuperare ragazzini. Ma sono singoli destini, non è una politica nazionale sufficientemente consistente. La dispersione scolastica ha radici profonde: c’è una sfiducia nella scuola nella misura in cui non ti prepara al mondo lavorativo che ti aspetta. Va detto che abbiamo avuto un movimento di maestri di strada che è stato capace di andare là dove i ragazzini non si presentavano a scuola, in periferie estreme dove si arriva al 50-60% di dispersione. Parlo di identità nazionale, perché credo che noi tutti abbiamo la stessa capacità di resilienza, di reinventarci, basti pensare che qui a Palermo c’è stata Letizia Battaglia, che ha fatto cose strepitose. Ma non possiamo affidarci solamente alle forze dei singoli, non possono portare solo loro il peso di questa resilienza.
Il suo è un film pieno di speranza. Cosa vuol dire presentare questo film davanti a un pubblico di docenti?
Io sono figlia di insegnante. Per pagare i miei studi ho insegnato in una scuola durante le vacanze. Ho sempre avuto a cuore una forma di trasmissione. Si fa l’arte per l’arte o l’arte per l’impegno? Io sono decisamente dalla parte di questa seconda. Io voglio parlare ai ragazzi che vanno al cinema a vedere gli Avengers e che questa volta lo faranno perché c’è circo, c’è musica, c’è qualcosa nell’ordine della speranza.
L’arte circense che ruolo ha in questa dinamica?
La pedagogia circense, quando è usata per strada, ha una immensa virtù: attrae dei ragazzini in dispersione scolastica che sono praticamente irrecuperabili. Mi sono liberamente ispirata all’operato di un uomo che lavora a Napoli e che ha fondato un’associazione che si chiama Il Tappeto di Iqbal. L’accordo tra lui e i ragazzi è questo: io ti insegno il circo, ma tu prendi la terza media. Quando vai a fare circo tu pensi che in realtà vai in un doposcuola dove ti diverti, la realtà è che non puoi salire sui trampoli se non sei sostenuto da qualcun altro, non puoi mettere il naso rosso se qualcuno non ti insegna come rivolgerti agli altri indossandolo. Ti insegna anche a non avere paura, perché c’è la forza del gruppo. A fronte dell’individualismo c’è questa proposta concreta, perché con le arti circensi guadagnerai dei soldi: con gli spettacoli in strada, le feste dei bambini.
Parlando di linguaggio cinematografico, quanto è stata utile la sua grande esperienza documentaristica e quanto ha subito l’influenza di Gomorra, considerando anche la presenza di Marco D’Amore, che ne è stato volto e anche autore?
Io e Marco abbiamo un bellissimo rapporto, perché scambiamo molto su questioni di cinema. Però non abbiamo lo stesso sguardo, perché io vengo da un’altra scuola. Facendo Criature ho voluto riportare un linguaggio, che è quello che io amo: camera in spalla, più vicino possibile al personaggio, per accorciare la distanza con lo spettatore e farlo diventare il protagonista del film. Funziona così: faccio un master, guardo i movimenti e poi con il direttore della fotografia decido come si deve muovere la camera per avere un movimento continuativo. Questo era qualcosa a cui Marco non era abituato, ma è stato bravissimo perché si è prestato al gioco. Lui è davvero super. Volevo fare l’esatto opposto di Gomorra, il suo negativo fotografico. Con il tutto che Gomorra è una serie che è stata girata molto bene, che imposto uno stile che è stato apprezzato anche fuori come non si vedeva da tanto tempo, personalmente mi intristiva l’agiografia criminale, il fatto che l’Italia potesse essere solo un racconto criminale. Siamo stati i più bravi a girare opere neorealistiche, che era quello che volevo riportare: volevo che ci fosse De Sica, Sciuscià, Scugnizzi, che ci fosse questa creatività, ma anche rigore, nel mostrare una realtà di un quartiere periferico completamente abbandonato a se stesso. Ma ci ho aggiunto un piccolo ingrediente di realismo magico, che è un po’ il twist del film.
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