In uscita il 7 marzo con Teodora, dopo il concorso di Cannes e l’anteprima a France Odeon, Ancora un’estate, nuovo film della regista francese Catherine Breillat, autrice avvezza alle provocazioni e alle sfide spudorate nei confronti dei tabù che delimitano e circoscrivono la sessualità femminile. Stavolta, sulla scorta del danese Queen of Hearts, di cui questo è un remake, mette in scena la passione che lega una donna, brillante avvocata, matrimonio borghese, due gemelline adottive, al figlio adolescente del marito. Anne (Léa Drucker) in una delle prime scene del film si occupa di difendere una ragazza vittima di violenza sessuale, quasi a presagire ciò che accadrà quando Théo (Samuel Kircher), che il marito (Olivier Rabourdin) ha avuto da una precedente relazione, decide di riavvicinarsi al padre e va a vivere con loro nella bella casa di famiglia sconvolgendo ogni equilibrio. Nel cast del film anche Clotilde Courau nel ruolo della sorella della protagonista.
“La storia mi ha affascinato fin dall’inizio – spiega la regista – ma ho cambiato molto il personaggio della protagonista rispetto all’originale. Qui non è più una predatrice. Quando Samuel si innamora di lei, inizialmente sente solo questo sentimento di felicità. Non analizza quello che succede, fino a quando non diventa lui stesso una minaccia”.
Cosa l’ha convinta a fare questo film?
E’ stata un’idea del produttore Saïd Ben Saïd. Aveva appena preso i diritti di questo film danese e pensava di poter fare un remake migliore dell’originale. In quel momento ero veramente ai minimi termini, non avevo più voglia di fare cinema, avevo una sorta di depressione sotterranea, stavo male fisicamente, essendo diventata emiplegica dopo l’ictus. Ho visto Queen of Hearts e mi ha colpito per come la menzogna viene raccontata e creduta. Mi è sembrato un dispositivo narrativo degno di William Shakespeare.
Uno degli spunti del film è un quadro di Caravaggio, la Maria Maddalena. Rispetto ad altri suoi lavori lei si concentra qui in particolare sul volto dei due protagonisti.
Filmare i volti è una cosa che avevo fatto anche altri film, per esempio in Parfait Amour! (1996), la differenza qui è legata essenzialmente alla scelta pittorica. C’è stato un terremoto nel mondo dell’arte quando Caravaggio ha dipinto quel quadro: osare mettere la sensualità nell’estasi divina! Le religioni combattono il sesso e cercano di ridurre la carnalità a qualcosa di laido e triviale, ma non è così. Io volevo filmare l’estasi divina e la purezza dell’amore. In quel quadro, tutta la tragicità proviene dall’irrigidimento del muscolo del collo e delle narici della santa. Mi sono anche resa conto che Maria Maddalena in estasi è contemporaneamente una Maria Maddalena morente, che vive una solitudine profonda.
Del resto, se si leggono i testi delle sante che raccontano l’estasi mistica, si trovano spesso vere e proprie descrizioni di orgasmi.
L’orgasmo, se sei innamorato, è sempre qualcosa di mistico, immagini di essere con quella persona per l’eternità. C’è un desiderio amoroso, non c’è depravazione o perversione, c’è un senso di purezza e di innocenza.
Il personaggio femminile viene raccontato in tutte le sue sfaccettature. Lei non ne fa un’eroina e ne mostra anche gli aspetti di meschinità, di cattiveria, oltre al desiderio fortissimo che è ancora un tabù in quanto desiderio femminile.
Il desiderio in questo film è biunivoco, circola tra i due personaggi. Entrambi si danno luce e si rendono più belli a vicenda. Questo è alla base del desiderio, che è sempre reciproco. Il desiderio è ciò che contraddistingue la specie umana rispetto agli animali. Sono in quanto desidero.
Un altro tabù è quello del rapporto tra un adolescente e un adulto.
Ci sono sempre stati dei ragazzi innamorati di donne adulte, attratti dalla loro esperienza e maturità, anche se questa cosa viene nascosta perché gli uomini preferiscono raccontare che una donna grande non sia più desiderabile, ma non è così. Ci sono donne mature che sono molto appetibili per gli uomini più giovani. Cominciamo a dirlo e piano piano non sarà più un tabù.
Léa Drucker è un’attrice molto interessante, ha un volto particolare che esprime anche un senso di potere.
È verissimo. In realtà avevo scritto il ruolo per Valeria Bruni Tedeschi, ma lei ha avuto paura e ha lasciato il film. Non avevo pensato a Léa, è stato il produttore a propormela e quando l’ho incontrata ho trovato una donna di potere, come dice lei, e molto bergmaniana. Era un’attrice desiderabile per me, ma con un lato hitchcockiano, una bellezza glaciale. Pensavo che dovesse ispirarsi a Kim Novak in La donna che visse due volte, rimanendo impassibile nel momento in cui pronuncia la menzogna. Invece, mentre giravamo, mi sono detta che doveva avvicinarsi più a Tippi Hedren in Marnie, con questo viso poco espressivo e molto duro. Léa è stata formidabile, è riuscita a dimostrare tante cose nell’aspetto fisico pur restando fredda.
Ritiene che tra i due ci sia anche una sorta di incesto?
Per me no, è un adulterio, ma non è uno stupro né un incesto anche se adesso la legge francese è cambiata ed è più restrittiva, quindi quel rapporto tra madre e figlio acquisito minorenne sarebbe configurabile come incesto.
Un cambiamento legato al #MeToo?
Sì, è l’effetto perverso del #MeToo. Non si possono più avere delle avventure, tutto è colpevole. Ci sono ragazzi terrorizzati perché non sanno più se possono fare l’amore con una ragazza che magari ha bevuto un bicchiere e non si capisce se sia consenziente. Adesso ci vuole l’ufficiale giudiziario che certifica che è tutto ok. Persino Romeo e Giulietta viene censurato perché Giulietta è troppo giovane, minorenne. Non ci potrà più essere un personaggio come Lolita di Nabokov.
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