Un emigrante con la valigia di cartone e una nomade con il computer. Due generazioni di migranti a confronto: gli italiani che dal Meridione si spostavano in cerca di lavoro poco qualificato negli anni ’60, manovali e operai costretti a lasciare casa per guadagnarsi la vita, e i giovani creativi di oggi che vivono l’Europa come territorio di espressione senza frontiere (in teoria), ma si scontrano con l’impossibilità di avere un impiego in Italia.
Un tema di grande impatto sociale che Io sto bene, il film di Donato Rotunno presentato Fuori Concorso ad Alice nella città, riesce a coniugare attraverso una narrazione tenera e avvincente, non priva di ambizioni. Renato Carpentieri e Sara Serraiocco sono i protagonisti di questa vicenda che si muove di continuo tra passato e presente. Carpentieri è Antonio – Alessio Lapice lo interpreta da giovane nei numerosi flashback – un uomo anziano che vive in Lussemburgo da oltre cinquant’anni. Lo incontriamo mentre, affaticato e scoraggiato dalla solitudine dopo la morte dell’amata moglie Mady (Marie Jung), sta lasciando la gestione della ditta di vernici edili a una nuova proprietà intenzionato anche a vendere la villetta per trasferirsi in una residenza per anziani. L’incontro con Leo (Serraiocco), una VJ partita dall’Italia per esibirsi nelle discoteche con i suoi affascinanti collage video è uno di quegli incontri che cambiano la prospettiva: gradualmente e non senza diffidenza da parte della ragazza, si instaura un rapporto padre-figlia. Entrambi hanno un disperato bisogno di attaccamento e cura, ferite da sanare e un senso di estraneità rispetto allo scenario lussemburghese dove tutti sembrano aggressivi e poco disponibili, freddi e burocratici. Antonio rivive nel ricordo il passato: l’amicizia poi spezzata con i conterranei Vito e Giuseppe, il rapporto con le donne del suo paese e soprattutto l’incontro con la disinibita e moderna Mady che diventerà la compagna di una vita. Mentre Leo deve prendere delle decisioni importanti sul suo futuro e ritrovare un dialogo con la madre.
”Noi italiani all’estero portiamo sempre dentro il tema delle radici”, dice il regista, nato nel ’66 e cresciuto in Lussemburgo. ”I miei genitori sono partiti negli anni ’60, quindi questa è una storia che mi riguarda personalmente. Ho voluto far incontrare due generazioni, ognuna con il proprio bagaglio”. Per Sara Serraiocco: “Leo è una ragazza che parte alla ricerca della propria identità e che decide di trasferirsi per provare ad affermarsi come vee-jay. L’incontro con quest’uomo l’aiuta a capire che non è sola anche se all’estero si ritrova come un animaletto e senza punti di riferimento”. Per Donato Rotunno: ”prima si andava alla ricerca della fortuna e della solidità. Ora invece si è spaesati. Comunque un dato di fatto è che chi parte non torna più in Italia”. Mentre sull’andirivieni nel tempo, cifra stilistica del film, aggiunge: ”Non volevo cadere in una linearità narrativa pesante. Volevo fare in modo che questo sentimento di passato e presente si unisse in un’idea unica. Nel film è anche molto importante la colonna sonora che racconta le emozioni di ieri, di oggi e di domani”, spiega il regista, all’opera terza con questo film che ha coprodotto con la sua Tarantula Luxembourg, insieme a Vivo Film. Da segnalare che la sua opera seconda Baby(a)lone, tratta dal romanzo Amok di Tullio Forgiarini, ha rappresentato il Lussemburgo agli Oscar 2015.
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