Non è il classico remake dell’omonimo film di Luigi Comencini e neppure un omaggio generico alla commedia all’italiana degli anni ’60, il nuovo lavoro di Carlo Mazzacurati A cavallo della tigre, nelle sale l’8 novembre. Il regista ci tiene a sottolineare le differenze da un cinema che mostrava con indulgenza e partecipazione una faccia “cialtrona e fetente” del nostro paese, purtroppo tornata in auge, e che raccontava il cinismo di quegli anni con simpatia. Mazzacurati è invece solidale con i protagonisti tragicomici di A cavallo della tigre, alle prese con difficoltà e sogni della vita quotidiana. Guido/Fabrizio Bentivoglio, Antonella/Paola Cortellesi e Fatih/Tuncel Kurtiz conservano, per il regista, “una purezza che li preserva dalla volgarità dei vincenti di quest’epoca” e il film è così dedicato a coloro “che sbagliano o non sono giudicati abbastanza furbi”.
Un film cult di Comencini a cui vi siete liberamente ispirati?
Più che un cult è un film amato da me e dallo sceneggiatore Franco Bernini, poco conosciuto, che non ha avuto successo allora e che tuttavia possiede la stessa qualità artistica di I soliti ignoti di Monicelli e Una vita difficile di Risi. Anche in questi film i personaggi sono puri e semplici, vivono con difficoltà il loro tempo. L’impronta certo è quella lasciata da Comencini, perché è scattato in me e Franco il desiderio di ripartire da quell’archetipo narrativo, di una persona che attraversa un mare di guai.
Ma chi è Guido, oltre che un impostore pieno di debiti?
Guido, come tanti altri, è immerso psichicamente in questo sistema, pronto a percorrere le scorciatoie che la società gli presenta. Non riesce a distinguere tra realtà e finzione, crede di poter cambiare vita come si passa da un canale all’altro con il telecomando. Tante persone oggi sono superficiali, spesso indifferenti nei confronti degli altri, incapaci di leggere quel che accade intorno a loro. Così ho scelto di raccontare in modo ironico Guido che acquista consapevolezza di sé e finalmente ha uno sguardo sugli altri. E’ un personaggio che si spoglia di cose inutili, di orpelli e si mette in asse con l’esistenza. E lo fa infilandosi nel destino di un altro, del turco Fatih.
Come è avvenuta la scelta di Paola Cortellesi?
Paola mi aveva conquistato nel programma televisivo “Mai dire goal”. Con Fabrizio abbiamo scelto una scena del film da provare con diverse attrici e alla fine mi ha convinto l’interpretazione ‘non costruita’ di Paola.
Da subito ha pensato a quella conclusione?
Il finale l’abbiamo girato per ultimo, a distanza di qualche tempo. L’avevamo pensato leggermente diverso. Poi abbiamo trovato un’altra chiave che raccogliesse quella energia che si era creata tra i due interpreti, Bentivoglio e Kurtiz e i personaggi da loro interpretati. Il film si regge proprio sulla qualità degli attori/strumentisti che suonano con grande personalità.
Come ha lavorato con il cantautore Ivano Fossati, per la quarta volta al suo fianco?
Abbiamo usato un procedimento forse non ortodosso. Come accaduto per altri miei film, alcuni temi musicali vengono scritti a partire dal copione e durante le riprese: io e Ivano ci spedivamo pezzi di lavoro reciproco. Ma il matrimonio immagini e musica si è poi celebrato in sala di montaggio, scartando purtroppo anche brani molto belli. Rispetto al passato Ivano si è offerto meno in punta di piedi, ha ragionato con noi.
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