Considerato dalla rivista Time una delle 100 persone più influenti del mondo, vincitore dell’Oscar e del Writers Guild of America Award per la migliore sceneggiatura non originale con Moonlight, di nuovo candidato agli Oscar nel 2018 con Se la strada potesse parlare, tra gli intellettuali afroamericani più impegnati e combattivi, Barry Jenkins ha realizzato The Underground Railroad con questo spirito militante.
La serie Amazon Original in dieci puntate, in arrivo su Amazon Prime Video dal 14 maggio in tutto il mondo, Italia compresa, rilegge infatti la pagina più odiosa e atroce della storia americana, quella della schiavitù già raccontata da un film come 12 anni schiavo, e lo fa attraverso l’adattamento del romanzo premio Pulitzer di Colson Whitehead. Gli episodi hanno come denominatore comune il personaggio di Cora Randall (Thuso Mbedu), una giovane fuggiasca. La Guerra civile (1861-1865) è ancora da venire e una leggendaria ‘ferrovia sotterranea’ percorre il Sud degli States. Cora si trova in Georgia, in una piantagione che è un lager. Le condizioni di vita sono intollerabili: si viene fustigati e uccisi per un nonnulla, bambini compresi, gli schiavi non sono neppure considerati esseri umani e un uomo ripreso dopo una fuga viene messo al rogo di fronte ai bianchi riuniti a tavola e ai neri costretti ad assistere, muti e attoniti, in piedi. Il padrone è della peggior specie, vuole persino presenziare all’accoppiamento tra uomini e donne che considera animali da riproduzione. Uscire da questo incubo sembra impossibile, ma Cora, spinta da Caesar, si dà alla fuga.
Storicamente la ‘ferrovia sotterranea’ era in effetti una rete segreta di abolizionisti che aiutavano i fuggiaschi ad arrivare fino al Canada, dove la schiavitù era stata abolita nel 1793: si stima che furono tra 30mila e 100mila le persone salvate tra il 1810 e il 1850. Nella finzione romanzesca invece la ferrovia diventa un dato reale, con treni, stazioni e binari e Cora trova grazie ad essa una libertà dal sapore amaro. Nel suo tortuoso percorso la donna è inseguita dal sadico Ridgeway (Joel Edgerton), un cacciatore di taglie determinato a riportarla nella piantagione e ancor più accanito perché la madre della ragazza, Mabel, è l’unica persona che non sia mai riuscito a catturare. Spostandosi da uno Stato all’altro, Cora moltiplica gli incontri e le esperienze, accompagnata dalla difficile eredità materna: si è sentita abbandonata e deve elaborare questo complesso, oltretutto ignora alcune circostanze della vita e della morte di sua madre.
In collegamento via zoom, il premio Oscar Jenkins, insieme a Mbedu, Edgerton, Aaron Pierre, William Jackson Harper e Sheila Atim, ha rivelato molti risvolti della lavorazione. Sul set è stata necessaria la presenza di una psicologa, Kim White, per aiutare gli attori a venire a patti con le atrocità vissute dai rispettivi personaggi, fatti che potevano toccarli emotivamente da vicino. Tra i membri del cast si è creata una forte unione e solidarietà nel rivivere i supplizi subìti dai loro progenitori.
Jenkins rivela: “Dal 1936 al 1938 la Works Progress Administration (WPA) ha raccolto oltre 2.300 interviste a persone un tempo schiavizzate. I racconti di questi anziani, ottantenni e novantenni, rappresentano vivide pagine di una storia che era stata volutamente ignorata, mentre queste persone tracciavano un bilancio della propria esistenza. Immaginate di avere vissuto da schiavi e di sopportare nella vostra vita mezzo secolo di prosperità industriale del Paese senza che si intavoli il benché minimo dibattito sull’opportunità di risarcire le vittime della schiavitù… per non parlare dei loro eredi. Nel 2019, a 400 anni dall’arrivo sulle coste americane dei primi africani ridotti in schiavitù, Nikole Hannah-Jones ha inaugurato il Progetto 1619, uno sforzo immane (e non ancora terminato) che intende colmare le lacune di oscurantismo presenti nella nostra documentazione storica. Quando andavo a scuola, il resoconto della WPA, noto come The Slave Narrative Collection, non si insegnava e non era presente nella biblioteca della mia scuola”.
Jenkins è convinto che la serialità sia il modo migliore per consentire al pubblico di colmare questa lacuna e al contempo di sostenere la violenza estrema ed esibita che in un film per la sala sarebbe risultata, a suo dire, intollerabile. “Volevo dire tutta la verità ma senza perdere un punto di vista morale, anche per questo Kim White è stata sempre con noi sul set. Ecco perché non ho fatto un film per il cinema. Non voglio obbligare lo spettatore a vivere l’esperienza della schiavitù se non con i tempi e i modi adatti a ciascuno. In televisione puoi interrompere, riprendere, saltare una scena; lo smartphone lo puoi spegnere, insomma sei in grado di gestire l’esperienza. Anche il fatto di trasferire il romanzo, che ho amato fin da subito, in dieci episodi mi dava la chance di esplorare tutto in modo articolato e complesso”.
Il regista insiste molto sul senso profondo della sua opera: “Abbiamo reso onore ai nostri antenati, rispettando il testo e rispettando il pubblico. La prima volta che avevo sentito parlare della ‘ferrovia sotterranea’ ero un bambino e l’avevo davvero immaginata, nulla mi sembrava impossibile, leggendo il libro ho avuto modo di rievocare quelle sensazioni. Per questo ho voluto un vero treno e dei veri binari. L’idea della ferrovia è incredibile, è come se gli alieni bussassero alla tua porta con una pizza”. E aggiunge: “Durante la ricerca di una location, in un campo di cotone, sono stato colto da un impeto di rabbia e di tristezza. In quel momento non sapevo se filmare il campo o comprare quel terreno ‘insanguinato’ e bruciarlo. Una possibilità che i miei antenati su quello stesso campo non avrebbero mai potuto immaginare, ma poi ho realizzato che invece devono averla immaginata. Altrimenti come avrebbero potuto sopravvivere? L’avevano immaginata esattamente come me quando sentii parlare di ferrovia sotterranea, rappresentandomeli nell’atto di procedere, senza dubbi o esitazioni, animati da volontà e coraggio. Quella sensazione mi ha invaso mentre ero immobile in quel campo georgiano e ascoltavo le voci dei miei antenati. E in quel momento un’epifania ha preso forma: Questa serie è per loro”.
Sull’adattamento Jenkins precisa: “La trasposizione di un romanzo è sempre una sfida, bisogna rinunciare alla voce del narratore e dare in immagini l’interiorità dei personaggi, è un processo lungo e complesso”. Interviene la trentenne sudafricana Thuso Mbedu: “Il personaggio di Cora viene raccontato dai 16 ai 66 anni di età, passa attraverso un processo di maturazione fino a diventare pienamente se stessa”. E rievoca l’emozione del casting: “Era il mio primo provino internazionale, una cosa più grande di me, ma sono stata molto sostenuta da tutti per spingermi verso luoghi di me che neppure conoscevo”.
Tra i produttori di The Underground Railroad anche Brad Pitt e lo scrittore Colson Whitehead.
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