Da donna oggetto e simbolo di omologazione del corpo femminile, oplà! Barbie diventa la paladina del pink power. Succede nell’atteso film di Greta Gerwig (la regista di Piccole donne, attualmente al lavoro su una versione politically correct di Biancaneve) che in due ore di live action ma con i toni del cartone animato (in questo articolo vi parliamo delle precedenti versioni in animazione) imbastisce attorno alla celebre bambola Mattel un apologo che strizza l’occhio al femminismo e alla sorellanza da una parte facendo pensare alla ribellione di Lisistrata e delle sue compagne dall’altra.
Tra musical e farsa dai toni camp, il film si apre a Barbieland all’alba di un nuovo giorno, come sempre plastificato e perfetto. Barbie stereotipo – una Margot Robbie completamente immersa nel personaggio e coinvolta fino allo spasimo – è una delle mille versioni di se stessa. Le sue amiche sono tutte donne di successo, dalla presidente in giù, tutte abbigliate con colori pastello e con acconciature anni ’60, come appena uscite dal parrucchiere. Le Barbie rovinate – con i capelli tagliati o bruciati da qualche bambina teppista – hanno un’identità parallela e segreta, forse gay ma sottotraccia.
Anche Ken è la quintessenza della riproducibilità, ma Ryan Gosling è “il” Ken protagonista, quello che manda avanti il racconto vivendo una crisi d’identità, speculare e parallela a quella della sua indissolubile quasi partner (che però non vuole essere tale, anzi rivendica la sua singletudine). Tartaruga in bella vista e capelli ossigenati, è perfetto per il ruolo del bellimbusto alla perenne ricerca di conferme.
Mentre lei – essere perfetto e immortale, ovvero divino – pensa per la prima volta alla morte, vede con sgomento i suoi talloni toccare terra scendendo dai tacchi perenni e avverte un principio di cellulite, insomma entra nel Mondo Reale, lui sperimenta compiaciuto le gioie del patriarcato e immagina per un attimo di poter uscire dalla condizione di eterno complemento dell’alter ego femminile. Tipo da spiaggia per eccellenza, adesso Ken inventa un Kendom altrettanto stereotipato a base di casse di birra, motori e cavalli ma con un’insicurezza di fondo patente.
Parte claustrofobico e ripetitivo, anche noioso, il film scritto da Greta Gerwig insieme al compagno Noah Baumbach, subito dopo una citazione da 2001: Odissea nello spazio con il monolite in versione Mattel. Narrato dalla voce di Helen Mirren, che accende anche qualche spunto autoironico, il coloratissimo universo sfocia poi nella commedia dei buoni sentimenti in cui una mamma (America Ferrera) riscopre il dialogo con la figlia adolescente (Ariana Gleenblatt) e addirittura, in sottofinale, con l’apparizione di Ruth Handler, la timida signora che nel 1959 inventò la bambola più famosa e venduta del mondo, oggi contesa, specie nelle edizioni speciali, sui siti del vintage con quotazioni in perenne ascesa.
A produrre il film (oggetto di censura in Vietnam e nelle Filippine), oltre a Margot Robbie, c’è la Mattel, che prende se stessa in giro con garbo perché ha un board tutto al maschile (il ceo che vorrebbe qualcuno che gli fa il solletico è Will Ferrell) e che tramuta in oro anche le crisi esistenziali delle sue bambole, femmine e maschi a dispetto dell’assenza totale di genitali. E quindi ben venga Barbie in Birkenstock o la nuova casa ranch di Ken. Tutto per far schizzare le vendite ma con una filosofia al passo con i tempi.
Colonna sonora (di Alexandre Desplat) in grande spolvero con un album che include brani cantati da Ryan Gosling e Dua Lipa (il singolo Dance the Night).
Nelle sale italiane dal 20 luglio con Warner Bros. il film ha avuto il plauso pressoché unanime della critica Usa.
di Cristiana Paternò
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