L’attentato a Nassiriya, un romanzo e poi un film. Così è nato nel 2010 20 sigarette, pellicola d’esordio di Aureliano Amadei che oggi prosegue la sua attività di regista tra lavori teatrali e documentari. Ha appena presentato all’Ischia Film Festival Il Leone d’Orvieto, sul crack finanziario che ha visto coinvolto Giancarlo Parretti e l’utopia della conquista della Metro Goldwin Mayer. “L’idea è nata per caso: stavo sviluppando una serie di documentari su grandi crack finanziari e questo spiccava per la sua relazione con il cinema, e per la storia in fondo divertente. Così è diventato un documentario di 75 minuti a se stante, di prossima uscita in Francia”.
In Italia che tipo di circolazione prevede?
Intanto la Rai ne ha acquistato i diritti televisivi. Purtroppo è recente una polemica dovuta al fatto che è stato plagiato da una trasmissione di Raitre, dove è andato in onda un documentario uguale, più breve, ma copiato in tutto, stile compreso. A parte questo, stiamo cercando di farlo uscire in sala, magari con poche copie.
Sta già lavorando al suo secondo film?
Anche al terzo, se è per questo. Abbiamo scritto con Duccio Camerini la sceneggiatura della trasposizione cinematografica del nostro spettacolo L’arma How Long Is Now. Sarà un film tosto, duro. Volevo fare qualcosa di più leggero dopo 20 sigarette, e infatti ho scritto anche una commedia internazionale, un road movie tra Stati Uniti, Spagna, Italia, Francia, Grecia, Turchia, Iran, Pakistan e India. Ma serve un budget importante, quindi per ora è un progetto rimandato.
Il cast de “L’arma” sarà lo stesso dello spettacolo teatrale?
Sì, ci saranno Giorgio Colangeli, Andrea Bosca e la bravissima Maria Chiara Dimitri, una quindicenne trovata dopo una miriade di provini: ho incontrato centinaia di ragazzi, ma lei ha una vocazione per la recitazione particolare. Non aveva esperienza prima dello spettacolo, a parte laboratori teatrali pomeridiani.
Dove e quando lo girerà?
Sarà ambientato sul Gran Sasso, ma stiamo cercando anche location montane più accessibili, perché non è facile girare in una situazione estrema come quella. La mia speranza è d’iniziare le riprese in inverno, da dicembre in poi. Perché è un film di alta montagna che ha bisogno di neve e freddo.
Di cosa tratterà?
E’ la storia di un uomo che, come molti di noi, è insofferente nei confronti della società e fa una scelta radicale: molla tutto e si mette a fare il barbone. Un giorno trova una bambina, sceglie di crescerla fuori dal mondo, sulla cima di una montagna. Da adolescente però le nascerà la curiosità sul mondo esterno, mentre rimarrà sola, perché lui verrà a mancare. Proprio sulla montagna verrà raggiunta dal figlio naturale dell’uomo scomparso, e di lì parte una dinamica fratello/sorella inaspettata, piuttosto borderline e anormale.
Ha già trovato un produttore?
Sappiamo che i grossi finanziatori del cinema sono tre o quattro e ti ripetono tutti: “Vedi di non portarmi un dramma”. Fatta questa premessa, sto lavorando con un produttore che è anche un caro amico. Sarà un film davvero low budget, addirittura pari a un quinto del mio primo film, che costò 2 milioni e mezzo di euro.
Budget ridotto all’osso dopo un film pluripremiato: mancano i soldi o la fiducia verso i giovani autori?
Entrambi, il punto è che rispetto al 2009 è cambiato il mercato del cinema, a livello di finanziamenti e possibilità.
Un paio di esempi?
Medusa si è fortemente ridimensionata, Istituto Luce Cinecittà non produce quasi più, ci sono stati grossi stravolgimenti.
Ha mai provato, come hanno già fatto altri suoi colleghi, a cercare all’estero finanziamenti?
Ci penso spesso, ho fatto l’Accademia d’arte drammatica a Londra, però mi sento responsabile. Credo che in momenti come questo chi la dura la vince: io resisto nel mio Paese, produco corti ai ragazzi, faccio documentari, scrivo sceneggiature, sperando che chi continua a produrre ottenga qualcosa alla fine. Inutile fermarsi in tempi di crisi: facciamo questo mestiere perché non ne possiamo fare a meno, al di là del denaro. Dimostriamolo anche in momenti come questo.
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