Le Povere creature stanno arrivando. Uno dei film più attesi dell’anno finalmente entrerà nei nostri cinema il 25 gennaio, dopo aver trionfato a Venezia, dove si è aggiudicato il Leone d’oro per il miglior film, e ai Golden Globes dove ha vinto il premio come miglior musical o commedia, nonostante la forte concorrenza di Barbie e May December.
È stato descritto dalla critica come “un piacere per gli occhi, un piacere per l’anima”, “incredibilmente bizzarro” e “diverso da qualsiasi cosa abbiate visto negli ultimi anni”, solo per citare alcuni slogan che hanno elevato l’hype questo film fino a vette altissime. E così il suo autore, Yorgos Lanthimos, ha aggiunto un nuovo tassello al conciso, ma acclamato corpus di opere che spesso è additato come l’esempio più significativo del cinema d’autore contemporaneo.
Georgios (o Yorgos) Lanthimos è nato ad Atene nel 1973 e si è formato, dopo una breve parentesi di studi commerciali, presso la famosa Scuola ellenica di cinema e televisione Stavrakos di Atene, dove si è specializzato in regia.
L’inizio di carriera è segnato dalla sperimentazione di diversi format, tra cui spot televisivi, cortometraggi, produzioni teatrali, video-danza e video musicali anche per gruppi cult come i Radiohead. Una palestra per le sue strategie estetiche future; riecheggiando, così, le origini di altri acclamati registi internazionali contemporanei, tra cui Anton Corbijn, Jonathan Glazer, Michel Gondry e Spike Jonze.
È stato questo contesto, sullo sfondo di un’industria cinematografica in espansione emersa in Grecia tra gli anni ’90 e la metà degli anni 2000, a creare le condizioni per la svolta cinematografica di Lanthimos che si è trovato ad operare vicino al cuore pulsante di quella che è stata definita la New Wave greca.
La Weird Wave (che possiamo tradurre come “onda strana” o “onda anomala”), altro nome per definire questa corrente, rappresenta le nuove forme di sperimentazione emerse dal cinema greco tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo. La grecità del cinema di Lanthimos è altrettanto interessante perché è evidente e allo stesso tempo sempre più contaminata dagli aspetti delle sue coproduzioni internazionali.
I primi lavori di Lanthimos, infatti, sono culturalmente e geograficamente radicati nella cultura artistica del suo Paese e il suo secondo lungometraggio Dogtooth è rimasto, per molti, l’opera archetipica della Weird Wave.
Lanthimos, da sempre dirompente, ha però ribaltato le ipotesi in materia di grecità dei suoi film: «È affascinante notare come la gente vede il tuo lavoro (Lobster in qusto caso) che nasce da una cultura, per poi trasportarlo in un’altra cultura. Io sono ovviamente greco, ma ho fatto questo film in inglese e a dire il vero non so quale sia l’etnia del film. È stato girato in Irlanda. Il cast proviene da tutto il mondo, il che è stato intenzionale perché l’intera storia sembrava essere qualcosa di contemporaneo e vicino alle società in cui viviamo, in cui io vivo.»
Nel loro insieme, i sette lungometraggi di Lanthimos riflettono una continuità autoriale, segnata dalla ripetuta violazione dei confini estetici, tematici e di genere. Da quando il regista è passato dal cinema indipendente alle grandi produzioni hollywoodiane le tavolozze slavate, il minimalismo spinto e la semplicità della messa in scena dei suoi primi film hanno lasciato il posto a una fotografia e a una architettura visiva sempre più sontuose.
Persino The Lobster e Il sacrificio del cervo sacro sembrano scarni rispetto alla suo recente vocazione al dramma in costume con La favorita e Povere creature, entrambi caratterizzati da un production value altissimo, da costumi splendidi e sgargianti.
Ma se si guarda oltre il budget e l’estetica di ogni film, tutti i film realizzati da Lanthimos sembrano condividere un linguaggio cinematografico simile. I personaggi dei suoi film tendono a comunicare attraverso dialoghi stentati, ma naturali, che spesso tendono all’impassibilità. E a nascondere la profonda crudeltà dietro le trine dell’educazione e i convenevoli sociali.
Sì, i suoi film sono crudeli e spietati verso gli stessi protagonisti, costretti a passare oltre il valico dell’Inferno per poi non approdare a nessun paradiso (ma nemmeno al purgatorio, spesso).
Crudeli e sempre inclini ad esplorare la trasgressione sociale, con i suoi personaggi che si ribellano alle costrizioni sociali che li riguardano, come gli amanti anti-amore al centro di The Lobster o la figura di Frankenstein femminista di Povere Crature, passando per il minaccioso cattivo di Barry Keoghan in Il sacrificio del cervo sacro.
Lanthimos è innegabilmente uno dei registi più interessanti dell’ultimo decennio e i suoi 7 film andrebbero recuperati tutti, dal primo all’ultimo.
Eccoli in ordine di uscita.
Il debutto alla regia di Lanthimos, contiene in nuce gli spunti che Lanthimos approfondirà nei suoi lavori futuri. È acerbo, un po’ dispersivo, ma interessante proprio per capire l’evoluzione di un artista del suo calibro. Il film segue tre registi amatoriali (Aris Servatelis, Evangelia Randou e Costas Xikominos) che girano un film in una località balneare e che ruotano intorno al personaggio di Randou che viene umiliato e brutalizzato. Si tratta di una premessa intrigante che non riesce però mai a decollare.
La maggior parte dei film di Lanthimos sono di fondo black comedy e anche quelli che non lo sono esprimono una forta chiave ironica. Ma il regista non ha mai fatto un film più divertente di Dogtooth: la suo scioccante, inquietante ed esilarante opera seconda. In un grande complesso recintato, marito e moglie vivono con i loro tre figli adulti, che non hanno mai lasciato la loro casa e non hanno alcuna conoscenza del mondo esterno. La coppia li nutre di bugie riguardo a un fratello maggiore ucciso da un feroce gatto e sul fatto che se potranno finalmente andar via solo quando avranno perso i canini. È una premessa scomoda che esplora la natura della famiglia attraverso un’angolazione contorta, ma Lanthimos la rende anche molto divertente, caricando il film di un umorismo senza peli sulla lingua che mette a disagio mentre fa ridere.
Il film condivide un evidente DNA con le sue opere precedenti e come sempre, ha una premessa micidiale: la società segreta Alps offre alle persone in lutto un modo per affrontare la perdita di una persona cara facendola impersonare, dietro compenso, di volta in volta da un paramedico, un’infermiera, una ginnasta e il suo allenatore. È un film che vive di ambiguità, sia per quanto riguarda i confini tra autenticità e riproduzione, sia per quanto riguarda le relazioni tra i quattro “attori” dello strano gruppo.
Allo stesso tempo una bellissima storia d’amore e una strana satira sull’ossessione dell’umanità di accoppiarsi, The Lobster è il film che più di tutti riesce a coniugare lo sguardo distaccato di Lanthimos sulle norme umane con emozioni e desideri reali. Colin Farrell, in una delle migliori interpretazioni della sua carriera, veste i panni del triste David, che vive in un mondo in cui tutti i single hanno 45 giorni per trovare un partner romantico o saranno trasformati in animali. Quando la moglie lo lascia per un altro uomo, David è costretto a trascorrere il tempo in un hotel totalitario alla ricerca di una nuova compagna, pena la trasformazione nel crostaceo che dà il titolo al film (un’aragosta).
Lanthimos realizza film scomodi e audaci su persone che vanno contro le norme accettate, nel bene e nel male. Qui abdica la commedia nera presente nei precedenti film a favore di un thriller psicologico e soprannaturale senza speranze. In un’interpretazione davvero terrificante, Barry Keoghan è il giovane adolescente Martin che fa amicizia con il cardiochirurgo Steven (Colin Farrell), che un tempo aveva curato suo padre, poi deceduto. Quella che sembra una relazione perfettamente innocente diventa sempre più instabile, quando Martin si inserisce nella vita familiare di Steven e inizia a mettere in atto la sua vendetta in modi sempre più contorti. Ciò che rende il Cervo sacro così spaventoso è il marcio nascosto dietro civiltà e una densa patina di educazione.
Film candidato a 9 premi oscar che ha visto Lanthimos switchare dalla scialba modernità delle sue inquietanti opere precedenti a un’ornata narrativa storica, senza perdere il suo caratteristico brivido psicologico. Ambientato nella corte inglese del XVIII secolo, il film conserva tutto l’umorismo appuntito e il coinvolgente studio dei personaggi dei precedenti lavori, grondante di una visione della regalità più rivoltante che romantica. Con un fantastico trio centrale composto da Olivia Colman, Emma Stone e Rachel Weisz il film si concentra sul triangolo amoroso tra la regina Anna (Colman), malata e immatura, la sua favorita e amante di corte Sarah (Weisz) e la cugina di Sarah Abigail (Stone), che si contendono sottilmente la fedeltà e i favori della regnante. È una magistrale dissezione della politica sociale che nasconde il suo gelido black humor dietro a parrucche e abiti lussuosi.
Emma Stone è una donna che deve ricominciare da zero nel nuovo, sorprendente film di Yorgos Lanthimos. Per tutti noi la vita è fatta di conoscenze e circostanze che richiedono decenni per essere accumulate e diventare esperienza. Per la Baxter della Stone, questo processo avviene in modo molto rapido, grazie a una procedura di rianimazione che la riporta in vita con il cervello del suo bambino non ancora nato dentro la testa. La Stone, nella sua interpretazione più bizzarra, la interpreta come un bambino che muove i primi passi e dice le prime parole fino a diventare sempre più edotta del mondo. La sua interpretazione deliziosamente fuori dagli schemi è la prova che lei e Lanthimos hanno trovato un’alchimia fecondissima (in arrivo un terzo film del binomio: Kind of kindness ) e che la Stone è una delle migliori attrici comiche della sua generazione.
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