Il mondo dei bambini selvaggi, quello risultato dalle conseguenze de “La Rossa”, virus che ha fatto sparire gli adulti dal mondo, contempla anche Anna – l’esordiente Giulia Dragotto che vive al Podere del Gelso, Sicilia, con il fratellino, Astor (Alessandro Pecorella), che la quattordicenne cura seguendo tutte le istruzioni che la madre (Elena Lietti) le ha lasciato nel Libro delle Cose Importanti, quando il bambino misteriosamente scompare.
La storia avventurosa di Anna comincia da questa assenza, che innesca un viaggio per quello che resta del mondo, sì alla ricerca del piccolo, ma altrettanto un percorso di vita, dunque di incontri/scontri, con figure metaforiche, al limite del fantastico e del mitologico: così l’impatto con i Blu, comunità alla cui testa guida Angelica (Clara Tramontano), perfida regina che trattiene Astor e La Picciridduna-Katia (Roberta Mattei), un adulto ermafrodita sopravvissuto alla tabula rasa “dei grandi”, che parrebbe possedere il potere di salvare dal virus.
“Dopo aver chiuso Anna il romanzo ho passato anni pensando a questa storia, mi sono molto concentrato sulla vicenda di questa ragazzina in questo mondo in cui diventa madre senza esserlo, superando i limiti di un luogo senza senso. Ho sofferto, tanto che avevo parlato con il mio editore per scriverne di più, approfondire alcuni personaggi, ma non sapevo come, poi ne ho parlato a Mario Gianani, che aveva i diritti del libro, e siamo arrivati a parlare di una serie corale, oltre alla sola Anna. Per la serie, il dipinto I giochi dei fanciulli di Bruegel mi ha aspirato: una piazza piena di bambini, che giocano in maniera violenta o emulativi degli adulti, e hanno volti seri, annoiati, quel quadro è stata la prima impressione visiva di quello che dovevo fare; poi, altra ispirazione, è stata il film Apocalypto, che mi aveva colpito per trucco e costumi, che mi piaceva ripetere sui bambini”, spiega Niccolò Ammaniti, autore e regista, che in merito a questo ruolo riconosce: “La regia ha un forte fascino, ci penso, mi piace molto la costruzione visiva, ho bisogno di vedere le cose che immagino, oltre a permettermi relazioni umane che mi hanno portato degli amici. Ero preoccupato di frammentare, proprio nell’uso della macchina da presa, ma man mano ho preso confidenza”.
Quello di Anna con Angelica è uno scontro da cui la prima riesce a uscire vittoriosa, o quantomeno a fuggire, errando nella natura selvaggia insieme al fratellino: il motore del cammino, o meglio della traversata a bordo di un pedalò verso la terra ferma, oltre l’isola, è la speranza di trovare una cura per sé e per l’umanità, di cui adesso Anna sa far parte anche Pietro (Giovanni Mavilla), coetaneo taciturno e solitario, scintilla dell’amore. “La speranza muove tutta la storia, all’inizio è offuscata ma diventa poi la spinta propulsiva: è simboleggiata dalla Sicilia, ad un dito d’acqua dal Continente, e Anna da lì avanza verso qualcosa che interrompa l’oggi e apra un varco per l’umanità. Io faccio molta fatica, quando scrivo, a dare una morale, ma se c’è in Anna è proprio questa: cosa lasciamo ai nostri figli. In fondo, questo mondo di bambini ha cancellato una memoria labile, perché erano troppo piccoli per ricordare, l’unica che ha un pò di memoria è Anna che, con il libro della mamma, si mantiene; leggere è la luce per tutti noi, io credo che l’unica cosa da fare sia ricordare ai nostri figli cosa siamo stati, e con Francesca Manieri abbiamo lavorato per dare ad Anna e alla mamma questo lascito”, continua Ammaniti.
Infatti, per Elena Lietti: “L’eredità è nelle azioni di questa mamma, una donna indipendente, libera da vincoli, vediamo in lei in nuce la libertà di pensiero e azione che sarà poi di Anna. Il Libro è un gesto essenziale e eroico, perché intuisce quello che arriverà, che contiene indicazioni molto pratiche, però anche indicazioni rispetto alla memoria, come il mantenere l’unione della famiglia, così questa mamma diventa il motore della ricerca del fratellino”.
“Niccolò ha il tasso di idee più alto del mondo, cosa difficilissima da gestire: siamo simili caratterialmente e molto diversi come visione del mondo. Entrambi con una discreta ironia rispetto all’esistenza. La forza di Niccolò in scrittura ti permette di entrare a contatto con il nucleo tematico, che qui è la reciproca compenetrazione tra bene e male e se ti apri a quella visione sono l’ironia e la compassione a guidare la scrittura. È un’opera titanica, in cui Niccolò ha gestito davvero tutto, così accade quando una visione guida sulla traettoria”, commenta la co-sceneggiatrice, Francesca Manieri.
“La serie ha avuto un abbozzo prima de Il miracolo, poi siamo partiti per un giro lunghissimo in Sicilia per individuare i luoghi, non facili da immaginare: cercavamo una natura capace di riprendersi gli spazi. Lunghissimo è stato anche il casting dei ragazzi. La gran parte degli episodi sono girati in Sicilia, un pò nel Lazio e in Toscana: eravamo a Palermo quando è arrivato il virus reale, e poi da un giorno all’altro il lockdown, ed è stato stranissimo dopo mesi di lavoro lo stare chiusi in casa. Io ho avuto paradossalmente una fortuna lavorativa, cioè lavorare da remoto al montaggio, che mi ha permesso di assestare un pò la macchina. Mi ha molto impressionato l’arrivo della pandemia reale, io avevo lavorato molto sulla malattia, ‘La Rossa’, qualcosa di dermatologico che almeno il Covid non ha, ma per me Anna è stata una questione di ordine narrativo: ho sempre indagato il problema di relazione tra bambini e adulti, come in Io non ho paura, in cui gli adulti sono orchi e ho messo un bambino chiuso da solo in una cantina come fosse un mondo perfetto. Nell’ossessione per il mondo perfetto volevo vedere cosa potessero fare i bambini senza adulti, ma non poteva accadere un terremoto o una catastrofe che avrebbe coinvolto tutti, così l’unica possibilità era un virus. È chiaro che sia poi rimasto stupito e perplesso dinnanzi alla realtà in corso”, continua ancora Ammanniti.
Anna, dal romanzo (2015) dello stesso Niccolò Ammaniti è “un racconto fitto di immagini poetiche, feroci, ironiche e crudeli, come solo Ammaniti sa immaginare e ricreare. Il pubblico sarà chiamato a muoversi in un territorio distopico, in cui flirtano fantasia e realismo. La serialità tv deve saper essere larga, pop, facendolo nella ricerca anche dell’altezza, con un grado di universalità, che sta nel rapporto tra le persone, e nelle emozioni che le storie generano. Chi fa il nostro lavoro non si deve far condizionare dalla realtà (pandemica, ndr) e così Anna è una grande opportunità per un viaggio pieno di speranza”, dice Nicola Maccanico, executive vice president programming Sky Italia.
Gli fa eco Mario Gianani: “Niccolò sa riscrivere le regole di un genere, e con Manieri hanno creato una serie piena di distopia, inaspettata rispetto a quelle cui siamo abituati. Qui Ammaniti è passato alla regia, con un passo di immaginazione e fantasia che è quello che il pubblico cerca nelle serie di valore, sorprendendoci oltre le aspettative. Niccolò non si accontenta, mette in discussione, e credo che le serie vivano di forza evolutiva”.
Una serie in cui il visivo gioca un ruolo protagonista, dunque la fotografia a cura di Gogò Bianchi, che spiega di aver tenuto “conto di un presupposto di base: il mondo è collassato e l’energia elettrica come la conosciamo noi non esiste più da diverso tempo. I nostri protagonisti devono accettare che con il buio ci si ferma, ci si nasconde in attesa di una nuova alba, una nuova giornata da affrontare”, che s’è tessuta con i costumi di Catherine Buyse: “Da un punto di vista cromatico, assieme al direttore della fotografia, abbiamo optato per una scelta che mostrasse i bambini come un magma incolore e sporco”, così la scenografia di Mauro Vanzati ha puntato su “un equilibrio delicato da rispettare, tra abbandono, sopravvivenza, pericolo e gioco”, un comparto, questo visivo, che ha contato sul collante degli effetti speciali, curati da Makinarium, cui contribuiscono le sonorità originali di Rauelsson, che s’articolano tra l’uso della voce umana, le percussioni e le gamme espressive degli strumenti a corde.
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