Andrei Konchalovsky, ecologista e reazionario

A ventiquattr’ore dalla premiazione il regista russo riapre i giochi con The Postman's White Nights, girato sulle sponde del Lago Kenozero in una comunità isolata dal mondo


VENEZIA – A ventiquattr’ore dalla premiazione arriva Andrei Konchalovsky con The Postman’s White Nights e punta dritto al Leone. Girato nel Nord della Russia, nella regione di Arcangelo, in un paio di villaggi sperduti che si trovano sul territorio del Parco Nazionale del Lago Kenozero, il film racconta la vita di una piccola comunità che vive isolata dal mondo esterno, se non fosse per la presenza di un postino (Aleksey Tryapitsyn), unico tramite con la città e la civiltà contemporanea. Oltre alla corrispondenza (sempre meno nell’epoca di internet), l’uomo consegna a domicilio anche il pane o altri generi di prima necessità navigando sulle acque del lago con un piccolo motoscafo. Una natura incontaminata e fuori dal tempo a cui fa da sfondo un mondo addirittura opposto, quello di una base missilistica a pochi chilometri di distanza. Nel film accadono ben poche cose: è l’osservazione degli uomini e la contemplazione della natura a interessare l’autore. Le giornate del postino – tale anche nella vita reale, tutti gli interpreti sono non professionisti – si susseguono infatti abbastanza simili l’una all’altra, sotto lo sguardo di una tv accesa, finché qualcuno non ruba il motore del fuoribordo costringendolo ad andare in città accompagnato dal figlio di una vicina di casa, un ragazzino di 7/8 anni a cui l’uomo è molto affezionato, anche perché innamorato, senza essere corrisposto, della mamma.

Tra una bevuta di vodka e partita a carte la vita va avanti in questa comunità a suo modo coesa e pronta ad accettare tutti gli esseri umani in quanto tali, compresi balordi e ubriaconi. In queste notti bianche – siamo nel periodo dell’anno di massima luce – si riflette anche una certa nostalgia dei tempi mitici della grande letteratura russa che fa capolino dietro alla ripresa quasi etnografica dei comportamenti umani. “L’idea iniziale – rivela il regista – era quella di girare un film che non partisse da una sceneggiatura, ma che potessi scrivere durante le riprese”. E ancora: “Sono partito dal personaggio principale e ho cercato la veridicità anche attraverso l’uso di una tecnologia leggera e non invadente, piccole videocamere digitali e un i-Phone. In passato i documentari venivano realizzati usando tecniche invasive che intimidivano le persone. Oggi abbiamo la possibilità di riprendere rimanendo invisibili e mettendo i soggetti a loro agio”.

La tecnologia è una grande opportunità, specie per i giovani, secondo l’autore di Maria’s Lovers e The Inner Circle, per continuare a realizzare film artistici a basso costo: “L’interesse commerciale uccide l’artista. So che il cinema oggi è soprattutto mercificazione, ma bisogna rendersi conto che la tecnologia ci permette di lavorare spendendo poco o nulla. È un po’ quello che accade con la letteratura. Per scrivere un buon romanzo non hai bisogno di un pc, bastano carta e penna”.

Dopo aver lavorato a lungo in America, all’inizio degli anni ’90 Konchalovsky è tornato in Russia: “Ero stanco di discutere con i produttori su come fare i miei film. Da Hollywood ho imparato tanto finché si facevano opere destinate a un pubblico adulto, ma da troppi anni ormai, da dopo Star Wars, laggiù si rivolgono solo ai ragazzini. Non è una cosa che mi interessa. Voglio fare film reali. D’altra parte l’arte è una menzogna che ti aiuta a capire la verità della vita”.

Il film si è aggiudicato, a buon diritto, il Green Drop Award 2014, il premio che viene assegnato al film che meglio interpreta la sostenibilità tra quelli in concorso. La giuria, presieduta da Silvia Scola e composta da Blasco Giurato e Chiara Tonelli, lo ha premiato in quanto “opera di profonda riflessione sui rapporti fra uomo e uomo e fra uomo e natura, il cui futuro è nelle nostre mani se solo vorremo assumercene la responsabilità”.

Infine una bordata politica del “reazionario” Konchalovsky (si definisce così lui stesso) a proposito della questione ucraina: “Non so se sono favorevole oppure no all’intervento e credo sia ridicolo rispondere. Chi può farlo? C’è forse qualcuno di noi che sa veramente per che cosa ci stiamo scontrando, che cosa c’è in ballo? Quali interessi economici ci sono dietro?”.   

E allargando il discorso, aggiunge: “Non è facile per nessuno capire quale sarà il futuro del mondo. È sempre stato così. Qualcuno poteva prevedere l’avvento di Hitler o di Mussolini o di Stalin nel XX secolo? Non sappiamo immaginare il futuro. Per gli europei, in particolare, è difficile cogliere il nuovo paradigma mondiale”.     

“L’Ucraina è un pericolo per la Russia, ma l’eurocentrismo impedisce di vederlo come tale. L’illusione nella mente degli europei è che la democrazia sia qualcosa di positivo comunque. Non vedono i suoi effetti nei paesi poveri, in Sud Africa, Iraq, Libia, Egitto, Tunisia, dove le elezioni hanno portato al potere dei dittatori. Vengo considerato un reazionario ma la cosa non mi sconvolge. La verità arriva sempre all’umanità in tre fasi. Prima viene ridicolizzata, poi ci si oppone a essa con forza, infine viene accettata come una cosa banale. Oggi ci troviamo nella fase due, in cui si è ferocemente contrari all’idea che la democrazia possa portare alla dittatura. Ma staremo vedere. C’è dappertutto un grande cambiamento. Si stanno sviluppando tensioni crescenti tra mondo arabo e cristiano che potrebbero esplodere e portare a un conflitto. Inoltre si parla sempre di rispetto dei diritti umani ma si dimentica che il diritto primario dell’essere umano è l’acqua potabile. Ecco, l’acqua sarà la ragione che scatenerà le future guerre”. 

05 Settembre 2014

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