Andrea Lattanzi: “A volte vorrei mollare, ma continuo a mettere anima e corpo nel mio lavoro”

Protagonista di 'Io e il secco', attualmente nelle sale, l'attore racconta a CinecittàNews le difficoltà del suo mestiere, fatto anche di sorprendenti soddisfazioni, come i complimenti ricevuti da Susan Sarandon per la sua interpretazione nel film


Andrea Lattanzi, romano, 31 anni, da giovanissimo ha fatto l’animatore, il barista, anche il manovale. Quando ha scoperto la sua passione per la recitazione, ha iniziato questo percorso e non è più tornato indietro. Il primo ruolo da protagonista è arrivato sette anni fa con Manuel, pluripremiata opera prima di Dario Albertini. Sono arrivati poi la serie di successo targata Netflix Summertime e Grazie ragazzi di Riccardo Milani. Ma essere un attore oggi non è semplice, vista la concorrenza, e Lattanzi, come racconta a CinecittàNews, a volte è entrato in crisi. “Faccio questo mestiere mettendoci anima e corpo, in modo viscerale. Ma non è semplice”.

Ciò che spinge l’attore a continuare “è il grande amore per la recitazione”. Ma anche le sorprendenti soddisfazioni che può dare questo lavoro, come i complimenti ricevuti recentemente da Susan Sarandon per il film Io e il secco, opera prima di Gianluca Santoni, nelle sale italiane dal 23 maggio con Europictures, premiata ad Alice nella città 2023 e al Riviera Film Festival 2024.

Il film racconta di un bambino, Denni (Francesco Lombardo), che per salvare la madre dalla violenza di suo padre assolda un super-killer, detto il Secco, Ma più che essere un criminale, il giovane è solo un innocuo sbandato con un disperato bisogno di soldi, che finge di accettare l’incarico per derubare il padre del bambino. Ma l’incontro tra Denni e Secco darà vita a un’avventura che oscilla tra dramma e commedia, e che li porterà a interrogarsi sul senso dell’essere uomini.

Andrea, il Secco è uno che fa il duro ma in realtà è un ragazzo dal cuore d’oro.

Ricorda Lucignolo. Racconta bugie, non è considerato, abbandonato a se stesso, non riesce a stare con le persone. Fa la parte del duro, per necessità, ma alla fine è un pezzo di pane, ha una fragilità interiore. Anche io a volte tiro fuori la mia durezza come forma di protezione, ma poi sono tutt’altro. 

Si dice che lavorare con un bambino sia una delle cose più difficili nel tuo mestiere.

Con Francesco abbiamo creato subito una sintonia. È un bambino stupendo. Le difficoltà sono state altre. I bambini sanno leggerti l’anima, vedono la purezza di una persona, ed è qualcosa di meraviglioso. Sono veri, non sanno fingere, quello che sentono lo mostrano e tutto questo lo abbiamo messo nel film. Ero anche preparato, avendo già lavorando con i bambini.

Sempre su un set?

No, a 18 anni ho fatto l’animatore nei miniclub dei villaggi vacanze. I bambini mi adoravano, perché anche io sono un po’ come loro, senza sovrastrutture, non faccio finta di essere nessuno, ma sempre me stesso.

La recitazione, come lavorare nei villaggi, è un mestiere di condivisione.   

Quando la sera facevamo gli spettacoli, mi piaceva tantissimo stare sul palco, sentivo il contatto diretto con il pubblico. Un po’ quello che sto facendo ora accompagnando il film nelle sale. Ci lamentiamo che il cinema sta sparendo e non facciamo nulla per tutelarlo. Per il rispetto e l’amore che abbiamo per questo mestiere, è importante far vedere che ci siamo. Amo il cinema da sempre e questo è un modo importante per dimostrarlo in questo momento.

Cosa guardavi da ragazzo?

Soprattutto film stranieri. Mi mettevo davanti allo specchio e ripetevo le battute. Mi sono avvicinato ai film italiani in età più adulta. Quando la serie Romanzo criminale, ho sentito anche da spettatore che stava arrivando qualcosa di nuovo e diverso da noi in Italia. Ho iniziato a fare dei corsi, ma non era facile stare a Roma. Così ho scelto di andare a Londra, poi mi sono trasferito in America. Volevo entrare all’Actors Studio, ma ogni volta che andavo lì davanti non avevo il coraggio di entrare. Poi una volta ho superato la paura e sono entrato. Mi sono reso conto che avevo bisogno di tutta una serie di requisiti che non avevo e sono tornato in Italia.

Il tuo primo ruolo da protagonista è arrivato con Manuel. Com’è andata?

Proprio mentre rientravo a Roma ho letto di un contest organizato da RB Casting alla Festa del cinema Roma. Mi sono detto: vado e lo vinco. Ma avevo solo due giorni per preparare un monologo in romanesco e ho scelto Er fattaccio der Vicolo der Moro che avevo visto fare a Gigi Proietti. La sorte ha voluto che il giorno del contest il ragazzo prima di me portò proprio il mio stesso monologo. A Carlo Verdone (tra i giurati, insieme a Lina Wertmuller e Daniele Luchetti) però non piacque. Quando arrivò il mio turno e io gli dissi cosa avevo preparato, mi risposo: No, anche tu! Sono riuscito a convincerlo con la mia performance e ho vinto.

E poi?

Per un anno non è successo nulla, nessuno mi ha chiamato. Un giorno Dario Albertini ha visto il video del mio monologo su YouTube e mi ha chiamato per fare un provino per Manuel. Così è nato tutto.

E oggi senti di avercela fatta?

No, per niente. Qualche mese fa ho pensato anche di lasciare tutto, perché mi sembra di correre su un tapis roulant e non vedere mai la fine di questa corsa. Mi piacerebbe avere la possibilità di farmi vedere di più. Con Manuel scoppiò un caso grande e ho pensato che tutto sarebbe cambiato. Ci sono molti giovani come me che vogliono fare questo mestiere, ma spesso vengono scelti gli stessi. Le piattaforme ci hanno dato più possibilità e visibilità, ma siamo comunque tanti. Mi sento un po’ l’attore delle opere prime e mi piacerebbe lavorare anche con nomi più grandi. Ad oggi non mi sento arrivato da nessuna parte. E non ci arriverò neanche quando le persone penseranno che ci sono arrivato. In questo lavoro devi sempre costruire qualcosa di nuovo.

Questo che momento è?

Sono fermo da otto mesi, perché c’è un blocco delle produzioni. Se fai l’attore e non lavori, non hai neanche un sussidio. Ma spero che questa situazione possa cambiare. Nonostante le difficoltà, io continuo ad amare questo lavoro. Ci metto anima, corpo, tutto. Lo faccio in modo viscerale. Ma devono uscire una serie da protagonista di puntata che ho fatto e un altro progetto.

All’ultimo Riviera Film Festival, dove Io e il secco è stato premiato, hai incontrato anche Susan Sarandon.

È stata un’esperienza incredibile. Lei è una degli attori ad avermi maggiormente ispirato con i suoi film. Quando ci ho parlato al festival, tremavo. È stata lei a farmi i complimenti, dicendo che le era piaciuta molto la mia interpretazione. “Sei tu ad avermi ispirata stasera”, mi ha detto. Non lo dimenticherò mai.

Questo è il bello del tuo mestiere.

Sono le soddisfazioni più grandi, come l’affetto da parte del pubblico. Recentemente ho incontrato anche Luchetti che ha visto il film e mi ha detto tante belle parole. Questo è il riconoscimento che cerco, più che i premi.

Ti piacerebbe partecipare a progetti stranieri?

Ne ho sfiorati un paio. Mi avevano scelto per un grande biopic andato in un festival importante, ma non l’ho potuto fare perché ero già impegnato su un set. Ero stato preso anche per un altro film internazionale, ma anche in quel caso stato lavorando su un set e ho dovuto rinunciare. Ora ho in ballo un progetto davvero enorme che spero si concretizzi.

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