“Che cosa è cambiato dai tempi di Patò ad oggi quando ho scritto il romanzo? Faccio finta di non capire…”. Così, riferendosi alla vicenda Ruby, esordisce lo scrittore siciliano Andrea Camilleri dal cui romanzo La scomparsa di Patò (2000) è stato tratto il film omonimo di Rocco Mortelliti, presentato al Festival di Roma come evento speciale. “Quanto alla favola della figlia di Mubarak, la trovo ovvia, perché abbiamo già avuto la favola della figlia dell’autista di Craxi. E’ una ripetizione”, aggiunge lo scrittore siciliano.
La scomparsa di Patò vede ancora una volta protagonista la cittadina immaginaria di Vigata ma a fine ‘800. Il delegato di Pubblica Sicurezza del paese (Maurizio Casagrande) e il maresciallo dei carabinieri (Nino Frassica) indagano sull’improvvisa scomparsa di un integerrimo direttore di banca (Neri Marcoré). Tutto avviene il Venerdì Santo durante la sacra rappresentazione che vede il ragioniere Antonio Patò, impegnato nella parte di Giuda, sparire subito dopo. Ai due il compito di sciogliere il mistero, dapprima in competizione poi sempre più amici e solidali man mano che la vicenda si complica. Perché Patò ha uno zio altolocato: il senatore Pecoraro Grande Ufficiale e Sottosegretario del Ministero all’Interno.
Il regista dice di aver provato a tradire l’autore, ma di non esserci riuscito e alla fine tutto è molto vicino al libro, a cominciare dai personaggi.
Camilleri, non le sembra che in Italia le cose non siano molto cambiate da allora a oggi?
In questi giorni stampa e televisioni s’interrogano perché i funzionari della questura di Milano hanno agito in un certo modo, avendo ricevuto una pressione. I due poveri funzionari del mio romanzo ricevono, invece di telefonate che allora non c’erano, ordini dai superiori i quali a loro volta li ricevono da un sottosegretario al potere in quel momento. Allora che c’è di cambiato? Io non sono uno che ama molto la tesi di Tancredi Falconeri ‘Bisogna che tutto cambi perché nulla cambi’, ma alla fine ha ragione. D’altra parte tutti i miei romanzi storici vogliono stingere, come quando si mettono i capi sbagliati in lavatrice, sulla realtà italiana di oggi. Certe volte la macchia è più evidente, altre volte meno.
Nel passaggio dal romanzo al film lei che ruolo ha avuto?
Tante cose del romanzo sono state eleminate nella sceneggiatura per dare più compattezza alla vicenda. E’ un tradimento necessario. Di solito in queste sceneggiature che vengono tratte dai miei romanzi cerco di entrare il meno possibile. Centro pragmaticamente, vorrei che fossero altri sceneggiatori a indicare le linee guida della sceneggiatura. Io intervengo in seconda battuta, come accade sempre, soprattutto sul dialogo.
Dove nasce questa che lei definisce “ossessione”?
Nasce da un’esperienza fatta come delegato di produzione Rai per le prime otto commedie in bianco e nero di Eduardo De Filippo. Mi accorsi che lui cambiava le parole napoletane del copione con altre parole di più facile comprensione per lo spettatore televisivo. Ho raccolto quell’insegnamento. Certe parole siciliane di cui mi compiaccio risultano purtroppo incomprensibili, ma nel romanzo si possono rileggere e intuire nel contesto, ma questo non è possibile al cinema perché la comprensione è immediata e diretta.
E poi mi preoccupa sentire che il mio dialetto, o quello che mi invento, venga parlato da un attore che non è siciliano. In più penso ai lacci cui è costretto l’attore misurandosi con una lingua per lui sconosciuta, quando invece l’attore deve sentirsi libero.
Lei non ama farsi vedere sul sul set?
Non intervengo mai, solo una volta l’ho fatto per Montalbano. Perciò non sono stato a Naro, il paese siciliano, dove Rocco ha girato. So quanto sia una ‘rottura di cabasisi’ avere l’autore, per di più ex regista, durante le riprese. Il prodotto è così per me una sorpresa. Questo è un film che riesce a dare l’idea che sia costato parecchio e invece è stato realizzato, come le cose migliori in Italia, con pochi soldi.
La scomparsa di Patò è un film per il cinema, che cosa lo differenzia dalle storie televisive di Montalbano?
Il prodotto di Rocco non è troppo televisivo come qualcuno ha detto. Se prendete un libro di Montalbano e vedete la quantità di pagine che è stata trasportata in tv vi accorgete che il numero è alto. In questo film è invece più piccolo, perché l’immagine ha sostituito la parola, in tv accade il contrario: la parola stessa deve supportare le immagini.
Questo è il primo film da un suo romanzo come mai?
Ogni tanto ricevo lettere e cedo opzioni: da ‘Un filo di fumo’ a ‘il birrario di Preston’, a ‘La mossa del cavallo’. Ma alla fine nessun film viene realizzato. Non riesco a capire bene, certo alcuni romanzi sono complessi e costosi.
Forse il problema sta nel successo ottenuto da Montalbano?
In fondo Montalbano ha fottuto me e tante altre persone. Io sono inchiodato a Montalbano. Scrivo un romanzo in cui ci verso l’anima come ‘L’intermittenza’ che raggiunge un buon piazzamento nelle vendite, poi arriva Montalbano con ‘Il sorriso di Angelica’ e subito conquista il primo posto della classifica.
Michele Riondino sarà il giovane Montalbano in una serie diretta da Gianluca Tavarelli?
Carlo degli Esposti ha pensato di sfruttare questi racconti contenuti ne ‘La prima indagine di Montalbano’ realizzando Montalbano giovane, ma questo non esclude una prosecuzione del Montalbano interpretato da Luca Zingaretti perché ci sono altri romanzi.
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