VENEZIA – Presentato alle Giornate degli Autori dell’80ma edizione della Mostra del Cinema di Venezia, Il Popolo delle donne è il film con cui Yuri Ancarani – regista e videoartista già a Venezia nel 2021 con Atlantide – analizza la violenza maschile attraverso le preziose parole di Marina Valcarenghi. La psicanalista, la prima trent’anni fa a incontrare in carcere i detenuti per reati sessuali, è filmata da Ancarani nella forma di una lectio magistralis che analizza il rapporto tra la crescente affermazione sociale delle donne a l’aumento della violenza sessuale maschile. Il ribaltamento del rapporto tra uomo e donna – “avvenuto in Italia troppo tardi, troppo in fretta” – avrebbe portato a una reazione dell’inconscio maschile, secolarizzato in una tradizione di dominazione indiscussa. Questa la tesi a fondamento di una nuova e imprevista ondata di violenza nei confronti delle donne, di cui anche l’ultima estate ne è tragica testimonianza. “Le donne sono un popolo”, sottolinea Valcarenghi, “ma è più difficile liberarlo e non si farà tutto in una generazione”. Al Festival di Venezia abbiamo incontrato Yuri Ancarani, ecco cosa ci ha raccontato su Il popolo delle donne, in sala a novembre da Barz and Hippo.
Yuri ci racconti il tuo primo incontro con Marina Valcarenghi e come nasce questo film?
“L’incontro con Marina è arrivato perché realizzare un lungometraggio è una cosa molto complessa. Soprattutto se hai a che fare con persone della strada, come è stato per me nel caso di Atlantide: ragazzi presi qua e là che avevano dei comportamenti che disapprovavo ma allo stesso tempo volevo raccontare. Avevo bisogno di uno psicanalista che mi desse un aiuto nella comprensione dei comportamenti dei ragazzi. In Atlantide traspare il rapporto di branco e parlando di questo sono nate una serie di questioni che ci hanno portato a parlare di violenza. Marina lo faceva in una maniera così semplice e così precisa che io ho subito pensato che in tempi in cui tutti dicono di tutto sbagliando fosse necessario creare un progetto chiaro e preciso che fosse in qualche modo d’aiuto”.
Il Popolo delle donne inizialmente faceva parte di una mostra al PAC di Milano, in che modo interagiva con la retrospettiva che lo circondava?
“La mostra al PAC che ho realizzato è una retrospettiva di tutta la mia produzione dai primi anni duemila al 2020 e c’è tutta la mia ricerca, tutti i miei film. I protagonisti dei miei film sono quasi sempre uomini, che in diversi ambiti e situazioni vengono osservati nei loro comportamenti. Poi alla fine, in una stanza, appariva Marina, una donna che racconta questa storia. Il lavoro presentato al PAC è stato l’inizio di questo progetto, una specie di test. Marina sosteneva che secondo lei la sua ricerca di una vita non avrebbe trovato interesse nelle persone perché quello che aveva da dire era qualcosa che nessuno voleva sentirsi dire. Allora ci siamo detti di fare un test e andare in un luogo di cultura importante, dove comunque avremmo trovato un pubblico con una certa consapevolezza. È andato benissimo e abbiamo deciso di andare avanti, di dilatarlo e di portarlo – grazie ai distributori – in sala a novembre”.
Credo che ogni uomo, ascoltando le parole della Valcarenghi, possa scoprire quei riflessi, anche piccolissimi, che però arrivano da una tradizione secolare su cui ancora molto c’è da lavorare. Hai imparato qualcosa che non sapevi su di te riprendendo le sue tesi?
“Sicuramente io sono un atipico. La mia parte preferita è quando dice ‘un uomo profondamente in crisi’: a me piace sapere che l’uomo oggi è profondamente in crisi. La pressione del mondo familiare, lavorativo, di questi uomini ha stancato tutti. Io questo film lo so praticamente a memoria e quando ci sono degli involontari atteggiamenti, stiamo parlando di piccole cose ovviamente, me ne rendo conto e dico ‘ok, è necessario cambiare comportamento’. È molto utile così, perché si crea un equilibrio che è necessario. Questo è un momento molto delicato”.
Marina Valcarenghi dice che non sarà possibile cambiare tutto in una generazione, sei fiducioso però riguardo le nuove generazioni?
“Io sto vedendo che c’è uno strano cambiamento nelle nuovissime generazioni, dove uomini e donne sono separati: ci sono i maschi e le femmine, non ho mai visto una cosa del genere. C’è un pericolo, ci sono dei modi di protezione inconsci, per cui i ragazzi stanno con i ragazzi e le ragazze con le ragazze. In questo momento bisogna fare molta attenzione. Lei parla del popolo delle donne, che è una novità assoluto, ne parla come un movimento. Alla fine del film Marina dà alcune indicazioni, alcuni consigli per uscire da questa situazione. Io credo molto nelle nuove generazioni, le vedo molto più attente a certe dinamiche, però all’interno delle nuove generazioni ci sono persone molto più consapevoli e persone che hanno avuto un’educazione molto retrograda e quindi sono molto in difficoltà senza sapere di esserlo, perché ancora oggi c’è un sistema educativo molto retrogrado”
Qual è stata la reazione del pubblico alle prime proiezioni?
“La sala era sempre piena. Solo alcuni uomini di 60 anni se ne andavano”
Di Alessandro Cavaggioni
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