CANNES – Grande accoglienza e una seria ipoteca sui premi – specie per l’interpretazione di Sandra Hüller – accompagnano in concorso Anatomie d’une chute di Justine Triet, un thriller psicologico e processuale per molti versi post-hitchcockiano che vuole essere l’anatomia di una coppia e della sua crisi.
La bravissima attrice tedesca, che recita qui in inglese e francese, è un’affermata scrittrice sposata con un professore (Samuel Theis) che da anni lavora a un libro in parte autobiografico ma non riesce a terminarlo e naviga nella frustrazione. Ma anche nel senso di colpa, dopo che il figlio undicenne della coppia, Daniel, ha perso la vista in un incidente all’uscita da scuola. Depresso e dipendente dagli psicofarmaci, l’uomo è voluto tornare nel villaggio alpino della sua infanzia, lontano da tutto e da tutti, costringendo anche la moglie a lasciare la ben più stimolante vita londinese.
Nella prima scena Sandra riceve nello chalet dove la famiglia vive una studentessa universitaria che deve intervistarla. Ma il marito, dal piano di sopra, mette la musica ad altissimo volume e in loop (il brano è P.I.M.P. di 50 Cent con tutta la sua misoginia insistita), come se volesse impedire questa conversazione. Due ore dopo l’uomo è morto, caduto da una finestra e con una ferita alla testa che potrebbe essere stata causata da un oggetto contundente oppure dallo spigolo di una tettoia. Omicidio, suicidio, fatto accidentale? Nel momento della caduta, Sandra stava dormendo in camera sua o almeno così afferma e Daniel era a passeggio nei boschi con il cane. Anzi, è proprio il ragazzino a trovare il cadavere del padre, riverso sulla neve.
Da qui comincia una vicenda ambigua e sfaccettata, un processo ai danni di Sandra, che viene accusata di omicidio ma anche un processo alla sua relazione coniugale. Ed è proprio il figlio il testimone chiave. “Il bambino – spiega Triet, già autrice di Sybil – è il cuore del film, ha sulla sue spalle l’enorme responsabilità di decidere se sua madre sia colpevole o innocente. Ma non sapremo mai se la sua testimonianza sia vera o falsa”. Nel ruolo il giovanissimo Milo Machado Granier, in una prova di recitazione assai matura per la sua età.
Trier spiega la genesi della sceneggiatura, scritta con Arthur Harari: “La mia prima idea era quella di raccontare un incubo: cosa succederebbe se i miei fatti privati diventassero di dominio pubblico? Da qui è emerso il progetto di un film processuale che è anche una radiografia di una coppia”. E quale coppia potrebbe uscire indenne da una disamina così accurata? Gli elementi di crisi tra i due protagonisti emergono gradualmente e culminano in una scena di discussione tra i due, avvenuta il giorno prima dell’incidente. Lui le rimprovera di aver dovuto sacrificare le sue ambizioni alla carriera di lei e al suo egoismo, di essersi dedicato solo al figlio e di aver persino subito il plagio di un’idea; lei nega questa versione e insiste sul valore del suo contributo al ménage familiare e sui sacrifici che anche lei fa per dare a Daniel una vita normale nonostante l’handicap. C’è una sorta di inversione di ruoli tra l’uomo e la donna. Ma oggetto del contendere è anche la lingua – non il francese di lui e neanche il tedesco di lei – ma l’inglese, una sorta di terreno neutro che avrà un ruolo anche nello svolgimento del processo. Altro dettaglio importante, l’uomo ha registrato questa lite che costituisce il principale capo d’accusa nei confronti della donna, insieme al tape dell’intervista fatta dalla studentessa. Infatti il film si sviluppa per dettagli sonori e attraverso l’ascolto delle parole più che attraverso la visione, come se lo spettatore dovesse prendere il posto del giovane Daniel, non vedente.
“E’ molto importante – afferma Triet – la circostanza che lei sia una straniera in Francia e che sia una scrittrice, in questo senso l’aspetto linguistico diventa fondamentale sia nel processo che nella discussione all’interno della coppia. C’è un conflitto che parte proprio dalla lingua. E devo dire che costringere l’attrice e il personaggio a parlare francese, lingua che non padroneggia, ha aggiunto qualcosa”.
Regista e sceneggiatore ammettono di aver scritto attorno alla fisicità di Sandra Hüller. “Ha un’opacità, qualcosa di complesso e poi recita con il corpo, ma è come se il suo corpo non le appartenesse totalmente, c’è qualcosa di mistico in lei”, rivela Justine Triet.
Altro personaggio interessante è quello dell’avvocato difensore di Sandra, con cui lei ha avuto una relazione anni prima. Lo interpreta Swann Arlaud che spiega: “La regista mi ha chiesto di essere poco virile e molto sottotono. Non sono il classico avvocato che prende la scena processuale, anzi, tutto è recitato in sottrazione e il fatto che lui sia stato innamorato di Sandra aggiunge un elemento insolito”. Curioso infine il possibile parallelo con Saint Omer di Alice Diop, anche quello un ritratto femminile all’interno del genere processuale, benché con stile e tono completamente diversi.
Anatomie d’une chute sarà distribuito in Italia da Teodora Film.
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