Si apre con un “furto” intellettuale Ammonite, attesa love story proposta dalla Festa in selezione ufficiale dopo essere stata selezionata sia a Cannes che a Telluride (ma bloccata dalla pandemia) e presentata poi a Toronto. Uno splendido esemplare di fossile zoologico, un ‘ittiosauro’, viene esposto al British Museum cancellando il nome della paleontologa che l’ha ritrovato, Mary Anning, per sostituirlo con quello di un uomo.
Siamo nell’Inghilterra del 1840 e Mary (una superlativa Kate Winslet che potrebbe aspirare al suo secondo Oscar dopo The Reader), vive in una località marittima della costa meridionale, dove passa le sue giornate sulla spiaggia battuta dal vento alla ricerca di preziosi reperti di animali preistorici. E’ una donna rude e solitaria, che conduce una vita povera e spartana al servizio della scienza, e alla ricerca di un minimo di sostentamento, in compagnia dell’anziana e coriacea madre (Gemma Jones). Per campare vendono fossili e altri oggetti ai turisti. Un giorno arriva in paese il ricco Roderick Murchison, che prima le chiede di portarlo con sé nelle sue spedizioni e, subito dopo, le affida sua moglie Charlotte (Saoirse Ronan), affetta da una grave forma di depressione che l’ha resa quasi assente dopo un grave lutto. Mary accetta sia pure di malavoglia, in cambio di un compenso, ma quando Charlotte si ammala, se ne prende cura, innescando un rapporto diverso che, con lenta progressione, sfocia nella passione.
Dopo Eté ’85 e Supernova, un altro film a tematica gay per la Festa, con atmosfere che rimandano facilmente a Ritratto della giovane in fiamme di Céline Sciamma, sia per l’ambientazione d’epoca – e grande importanza rivestono proprio gli abiti, quelli dimessi e pratici di Mary, quelli eleganti ma costrittivi di Charlotte – sia per la rappresentazione puntuale del sentimento erotico che si accende tra le due donne, sfociando in un amore fisico e carnale che viene descritto con verità e semplicità. Il regista, pur raccontando un personaggio realmente esistito, le attribuisce una omosessualità della quale non si sa nulla sul piano storico e documentale. “Mi sono imbattuto per la prima volta in Mary Anning – racconta Lee, all’opera seconda dopo Gods’ Own Country – mentre cercavo un fossile da regalare al mio compagno. Mi ha subito affascinato la sua figura perché sono attratto dagli elementi della classe sociale, del genere e del paesaggio, tutti presenti in questa narrazione”. In particolare, oltre alla tematica dell’identità femminile che riesce faticosamente ad affermarsi nel sistema patriarcale, è interessante nel film la dialettica tra ceti sociali, che porta a un finale piuttosto spiazzante.
“Mary – aggiunge Lee – è una donna della working class che lavora sulla costa del Dorset, a Lyme Regis, è autodidatta e mantiene la famiglia da quando aveva 11 anni, seguendo le orme del padre, in questo modo è divenuta una delle paleontologhe più importanti della sua epoca, senza ottenere alcun riconoscimento in una società governata dagli uomini e classista”.
Il regista ammette di aver lavorato di fantasia rispetto alla relazione con Charlotte, ma sottolinea di aver letto molte lettere scritte da donne ad altre donne nel XIX secolo, “lettere piene di passione e intensità, per questo ho deciso che Mary meritava una storia con un’altra donna”.
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