E’ un ritorno in sala a quattro anni di distanza quello di Alps, del pluripremiato regista greco Yorgos Lanthimos che uscirà il 17 settembre, distribuito dalla Phoenix International Film, con la distribuzione esecutiva di Antonio Carloni. Autore tra i più acclamati del nuovo cinema greco, e noto al pubblico per The Lobster che gli valse il Premio della giuria al Festival di Cannes 2015, e per il successo de La favorita, premiato nel 2018 a Venezia e con l’Oscar a Olivia Colman come miglior attrice.
Lo stesso Alps vinse l’Osella per la migliore sceneggiatura alla Mostra del 2011 e il premio per il miglior film a Sydney. Con atmosfere rarefatte e inquietanti e uno stile freddo e controllatissimo, Lanthimos racconta la dissoluzione della civiltà occidentale – la società dello spettacolo – da un punto di vista di totale e programmatico nichilismo. E c’è sempre nella sua costruzione del racconto uno spunto metafisico che diventerà in The Lobster apertamente fantascientifico e distopico. Nel caso di Alps invece il crinale è più sottile, la situazione è quasi realistica anche se via via che la vicenda si dipana cominciamo a nutrire dei dubbi su cosa sia realtà e cosa messinscena e vediamo gli stessi personaggi cadere nella ragnatela che hanno intessuto.
Alps è costruito infatti attorno a quattro personaggi che recitano: un’infermiera caritatevole, una giovane ginnasta e il suo severo allenatore, un paramedico inflessibile e maniacale. Sotto la direzione di quest’ultimo hanno dato vita a un servizio a pagamento: si recano regolarmente a far visita ai parenti di persone defunte per prendere il posto dei loro cari e alleviarne il dolore aiutandoli a elaborare il lutto. Attraverso pochi tratti fisici o di comportamento, con qualche succinta informazione personale, tra cui l’attore preferito, imitano lo scomparso. Il gioco riesce con la complicità dei familiari che hanno così la possibilità di ripetere dialoghi e situazioni consuete o di rimediare a qualche lacuna del passato. Un copione che deve essere interpretato alla lettera perché non sono ammesse variazioni o iniziative personali. L’insolito gruppo si è denominato Alpi e ognuno di loro si è dato il nome di una montagna, il capo si fa chiamare Monte Bianco, l’infermiera Monte Rosa…
In Alps, come nel precedente Kynodontas, che venne candidato agli Oscar come miglior film straniero nel 2010 e che presenta parecchi punti di contatto con questo film, c’è un codice di comportamento molto rigido che i membri del gruppo devono rispettare e che viene imposto con metodi coercitivi. In pratica si instaura una sorta di dittatura – e di dittature in Grecia ne sanno qualcosa – che viene però inevitabilmente messa in discussione quando il confine impalpabile tra realtà e finzione sarà valicato.
Yorgos Lanthimos non si è sbilanciato sulle fonti d’ispirazione dell’opera, limitandosi ad accennare di aver letto di un servizio simile in Giappone o in Corea, dove attori vengono chiamati a sostituire alcune persone in occasione di eventi particolari. “La morte è un fatto. L’idea di assumere le sembianze dei defunti è disperata, triste, ma allo stesso tempo comica – spiegava il regista a Venezia – Non mi interessava indagare le persone che vivono una perdita o mostrare la loro sofferenza, bensì le reazioni di questi adepti delle Alpi che lasciano la propria vita per entrare in un’altra esistenza. Penetrano in un mondo diverso, che non conoscono, un mondo di finzione”.
Nel cast Aggeliki Papoulia, Aris Servetalis, Johnny Vekris e la giovane Ariane Labed, Coppa Volpi 2010 per l’interpretazione del film Attenberg della regista Athina Rachel Tsangari, un altro talento del nuovo cinema greco.
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