MILANO – Alfred Hitchcock torna nella sua natia Europa, a Milano (dopo il debutto al Telluride Film Festival lo scorso settembre), portato da Mark Cousins: l’autore irlandese ha diretto My name is Alfred Hitchcock, documentario la cui architettura si costruisce con l’uso creativo di materiale d’archivio e repertorio cinematografico, portato per mano dalla maliante voce dello stesso Hitch, nella vivace modalità narrativa e interlocutoria scelta da Cousins.
L’irlandese è “un cittadino del mondo, un viaggiatore fisico e della fantasia, che studia il cinema senza soluzione di continuità: un uomo di odissee, che all’inizio del 2022 ha detto ‘no’ alla proposta del suo produttore, John Archer, sul realizzare un lavoro su Alfred Hitchock”, così la giornalista Anna Maria Pasetti ha presentato il film – in anteprima europea al Noir in Festival – al pubblico di Milano, che ha potuto eccezionalmente guardare l’opera su grande schermo, un privilegio.
E Cousins, spiega ancora Pasetti, aveva dapprima detto ‘no’ perché Hitchcock era “troppo”, “troppo studiato, troppo raccontato, troppo… per lui, a cui piacciono le scoperte, ma poi ha deciso di sì, perché Cousins con Hitchcock condivide la forza ineluttabile del cinema”.
L’autore con questo film invita lo spettatore a farsi interlocutore diretto di Hitchcock, che parla in voce (quella di Alistair McGowan) rivolgendosi direttamente agli spettatori, come chiamato dall’aldilà a far capolino nel tempo contemporaneo, per raccontare se stesso da angolazioni non indagate, perché – come dice lo stesso Maestro nel film – crede che ci siano parti del suo mondo ancora non investigate.
I titoli di testa dichiarano: “scritto da e con la voce di Alfred Hitchcock” e questo gioco – naturalmente artificiale, come poi con palese evidenza viene ammesso alla fine del racconto – funziona però da perfetta calamita e da strumento che fa scattare una chimica tra il soggetto narrate di sé e la platea. “…so che sono morto 40 anni fa … che adesso c’è il 5G … che siamo lontani da Janet Leigh nella doccia di Psyco…: hanno analizzato le mie fantasie visive ma si sono persi qualcosa …Possiamo guardare i miei film da angolazioni più insolite?”, chiede Hitch a chi guarda, facendo notare che, per esempio, spesso non ha chiuso le porte delle case, aperte dai suoi protagonisti, per… farci entrare dentro al film.
6 parole come fossero 6 “stazioni”, per raccontarsi, iniziando dalla numero 1: FUGA. “Sono scappato in America dall’Inghilterra nel 1939 … Sapevo che i film erano un luogo in cui si potesse andare … Volevo fuggire in un mondo parallelo … (e con i film) voglio farvi sentire in vacanza dalla nostra vita” continua a dirci Hitchcock, mentre sullo schermo scorrono immagini o fotografie di lui, montati parallelamente a sequenze di suoi film, come quelli in cui “molti dei miei personaggi erano in carcere – a proposito di fuga -, come la splendida Grace (Kelly) in Spellbund”.
Per portare lo spettatore sempre più dentro il suo mondo, ma non guardando in direzioni troppo battute o scontate, il Maestro Hitchcock dice: “…ho studiato il desiderio come Darwin studiava i lombrichi…” anche se il signor Raymond Chandler gli attribuiva di “sfuggire alla logica drammatica per seguire l’effetto della cineprese” ma Hitch voleva sfuggire dalle convenzioni perché “cercavo di sfuggire dal tono scontato”.
Le altre parole capitali su cui Cousins costruisce il film, come fossero fondamenta portanti, sono AMORE, per cui – tra le altre – parla espressamente della Kelly di cui “… volevano tenessi un’accettazione casta, in attesa di un altro primo piano di Grace … ma io cercavo il lato oscuro del desiderio”, come succede con “il bel volto avvelenato di Alida Valli“.
E dopo l’AMORE, ci sono il DISAGIO e il TEMPO, con continui riferimenti al presente, ai cellulari del tempo contemporaneo: “piccole bombe a orologeria” con dentro segreti, ci fa sapere di sapere Hitchcock.
E poi c’è la REALIZZAZIONE, soggetto per cui la voce evoca Antonioni che “cerca di spiegarci il senso dell’esistenza”, mentre lui, Hitchcock, no, non ne ha intenzione.
E infine l’ALTEZZA: “mi piaceva andare in alto, visivamente parlando”, laddove l’altezza nei suoi film “è simbolica”.
Infine, dall’alto… portandoci verso la fine (del racconto), Alfred Hitchcock ci spiega che “con questo film su di me volevo entrare un po’ nei vostri pensieri … come il cinema si è fuso con i miei: …vi amo spettatori, mi piace giocare con voi”.
Un’opera visionaria, quella di Mark Cousins, un’enciclopedia non didascalica sulla personalità cinematografica di un maestro del cinema di genere, e assoluto della Settima Arte, un testo filmico già fondamentale, per l’intrattenimento pop quanto per lo studio della narrativa immaginaria.
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