Quando nel film del 1999 firmato Tim Burton, Mars Attack, arrivano gli alieni, tutti si mettono a pregare. “Veniamo in pace” recita il mantra tradotto con grande zelo dai militari. Applausi, abbracci, qualcuno libera una colomba. Poi il film mostra il suo vero volto. E così i marziani: la colomba viene freddata sul colpo e ha inizio l’invasione. Il cortocircuito che ne segue, tra la folla dispersa nel panico e gli alieni al seguito impegnati a sparare un po’ qui e un po’ là, assomiglia al nostro rapporto con la tecnologia. Una su tutte, la più importante di quest’epoca probabilmente, prende il nome di Intelligenza Artificiale. L’abbiamo in mano da anni, eppure finché non ha iniziato a sparare sulle colombe – decimando interi settori e sorridendo mentre si faceva sempre più grossa – non c’è stata reazione. Giusto qualche preghiera. Capita così che parlare oggi di AI può essere naive e inconcludente, perché significa molte cose di cui sembriamo comprendere solo una parte: la paura che produce.
All’AVP Summit di Trieste, dove l’Intelligenza Artificiale ha fatto da padrona nei discorsi di produttori e distributori, un intero Panel ha cercato di spiegarla al meglio, partendo dalle basi. D’improvviso ci ritroviamo con le mani su una GPU, raccontata come “Il cuore pulsante della nuova tecnologia”, e ci si chiede se davvero, prima del trend AI, qualcuno si fosse posto il problema di come funzionasse un computer come quelli che da decenni vivono assieme a noi. Ma l’intelligenza artificiale, quella di cui parliamo con foga da inizio 2023, ha azzerato il nostro rapporto con la tecnologia, segnando un nuovo corso. Sembra che marzo sia stato il mese milestone per l’AI: mai così tanti software resi pubblici. Tecnologia marziana, appunto.
Il settore cinematografico risponde confusamente, almeno di facciata, ma è da tempo che conosce le potenzialità di questa tecnologia e ne studia diverse applicazioni. Anche per questo gli autori e gli attori sono in sciopero contro gli Studios. A chiederne conto a produttori e distributori si fatica però a comprendere cosa li spaventi e quali opportunità vedano davvero nell’AI. L’assunto di partenza è sempre lo stesso e neutralizza quasi tutte le riflessioni: “tante opportunità quanti pericoli”, ma c’è poca chiarezza sugli uni e sugli altri.
Ne abbiamo parlato con alcuni dei più importanti produttori italiani e internazionali per comprendere la prospettiva di chi investe su cinema e tv. Comune la paura di esprimersi, forse riflesso di quel terrore a guardare negli occhi un abisso virtuale che potrebbe rispondere, ma anche l’ammissione – per lo più sottesa, mai davvero palesata – di non capirne ancora abbastanza.
Facciamo nostre due metafore di Andrea Appella, professore al King’s College. L’intelligenza artificiale ha due echi mitologici: il vaso di Pandora e il fuoco di Prometeo. In entrambi casi parliamo di miti che raccontano la diffusione sulla terra di grande bene e, al contempo, di grandissimo male. Dal vaso la gioia, il bene, tutto ciò di bello c’è, e con esso il suo contrario. Con il fuoco la sopravvivenza, ma anche il castigo di Dio. Stephen Hawking riassunse con efficacia gli estremi del pensiero a cui conduce l’ai: “potrebbe essere la migliore e la peggiore cosa mai capitata all’umanità”. Tra intellettuali e scienziati il dibattito è acceso: lo scrittore Yuval Noah Harari dice che sarà l’avvento di una nuova era, mentre a Google si parla di rischi. Intanto, tutti ci fanno esperimenti, iniziando a parlare però anche di “intelligenza artificiale rispettosa”, un bon ton digitale di cui si vocifera a Microsoft e sulle cui specifiche non si sa molto.
È da almeno 15 anni che i grandi del tech lavorano sull’intelligenza artificiale. A stupire oggi è quella che definiamo AI Generativa, che utilizza tecniche di Machine Learning e Deep Learning per generare dati – immagini, musica, testi – che non esistevano in precedenza. Lo fa prevedendo di volta in volta la parola o il pixel successivo, avendo appreso, senza supervisione, un insieme di dati che rielabora in seguito a un input. ChatGPT, il chatbot di OpenAI che ha fatto il giro del mondo al rilascio della sua terza versione nell’autunno del 2022, non conosce il senso di quello che scrive o realizza, ma sa che dovrebbe essere giusto poiché lo ha appreso da migliaia di dati simili.
Può oggi un’intelligenza artificiale sostituire per intero una produzione cinematografica? La risposta semplice è no. Anche se sono in tanti ad aver provato a realizzare interi corti senza passare mai dal set. Qualche mese fa ha fatto scalpore l’anime di Corridor Digital (ne abbiamo già parlato qui), realizzato con una tecnica mista di AI e rotoscopio. Più dibattuta è stata invece la decisione di Marvel di affidare a un’AI – poi inserita anche nei credits – la realizzazione della sigla del nuovo show di punta Secret Invasion.
L’AI non è ancora pronta a soppiantare un lavoro corale come quello preteso dalle produzioni audiovisive, ma sono sempre di più le mansioni che potrebbe svolgere con efficacia. La prima riguarda le sceneggiatura, di cui ChatGPT già si può occupare. “Ma senza coloriture”, specifica la direttrice di Rai Fiction Maria Pia Ammirati. “Puoi fargli scrivere una commedia, scrivono abbastanza bene, ma mancano le emozioni profonde”. Per ora. Largamente sperimentata da Disney è invece l’applicazione dell’AI al de-aging, la tecnica per ringiovanire digitalmente un attore o sostituire un volto a un altro. Di appena pochi anni fa l’esperimento su Carrie Fisher, scomparsa nel 2016 e fatta apparire in una scena dell’ottavo episodio di Star Wars grazie all’AI. Un’idea, quella del “lavoro post-mortem” come l’ha recentemente definita Tom Hanks, che spaventa gli attori – il cui lavoro da comparsa rischia presto di essere completamente soppiantato da manichini di pixel simili a quelli dei videogiochi – e ignora completamente in che modo lo sfruttamento illimitato di corpi e volti possa essere retribuito. L’AI potrebbe avere applicazioni anche sulle operazioni di casting, anche se potrebbe scontrarsi con i molti bias – volgarmente gli stereotipi – che sembrano abitare questi algoritmi.
Ancora più semplice, quasi immediato, è l’applicazione a molti dei lavori grafici richiesti da una produzione: dai poster alla campagna comunicativa sui social, un’AI può produrre migliaia di versioni differenti di una locandina in appena una manciata di secondi e molto presto potrà adattarli a seconda dell’utente che sta guardando senza bisogno di passare per un’agenzia preposta.
Ogni settore sta guardando se stesso attraverso il filtro dell’AI. Anche l’audiovisivo, dove i produttori hanno iniziato a interrogarsi sul proprio ruolo e destino all’indomani dell’invenzione che promette di cambiare ogni cosa. Paura e desiderio, come Kubrick (non quello di Hal9000, ma c’è spazio anche per lui nei terrori del settore). “Può essere utilizzata per automatizzare alcune delle attività più ripetitive e laboriose”, ci riferisce l’Amministratore Delegato di Cattleya Marco Chimenz. “Consentirà ai nostri team di concentrarsi su aspetti più creativi e innovativi del processo creativo”.
C’è poi il tema della promozione, che negli ultimi anni, con l’avvento degli streamer nel settore, è cresciuto proprio grazie all’epocale utilizzo dei big data che aggregano modalità di fruizione e abitudini degli spettatori. “Attraverso l’analisi dei dati e l’apprendimento automatico – prosegue Chimenz – possiamo ottenere informazioni dettagliate sui gusti degli spettatori, consentendoci di produrre contenuti più mirati e personalizzati”. Un utilizzo mirato che non sembrerebbe sostituire l’apporto artistico dell’essere umano.
“In questo momento sono più preoccupato che entusiasta”, ci ha confidato Gary Lucchesi, ex presidente della Producers Guild. A spaventare è l’assenza di trasparenza con cui oggi viene discussa l’AI, una tecnologia ormai caratterizzata da un’opacità che l’attraversa in ogni suo aspetto, dai dati esaminati al funzionamento degli algoritmi che la compongono. Un vero nemico senza volto, alieno come i marziani di Burton. “Si potrebbe pensare che la cosa più semplice al mondo da dire a uno scrittore sia che la sua funzione di base (scrittura e narrazione) non sarà sostituita, ma per quanto ne so non viene detto”. L’idea di sostituire l’umano con l’artificiale inorgoglisce non poco gli appartenenti alla nostra specie: la resistenza, anche per il settore dell’audiovisivo, passa per la certezza di un’unicità. Per questo, per Maria Pia Ammirati di Rai Fiction, “non sa scrivere una buona comedy”. All’AI manca il vissuto, “il caos, l’odio, l’amore, l’invidia”. La tridimensionalità di un’esperienza che, sostiene un numero sempre maggiore di esperti, l’AI potrebbe acquisire in futuro se abbinata alla moderna robotica.
Tutto ciò appare tanto “affascinante quanto rivoluzionario” a William Horber, produttore membro onorario della Producers Guild of America ed executive producer de La Regina degli scacchi. “Come strumento da applicare ai processi cinematografici, in particolare nella produzione e post-produzione, effetti visivi, sembra potenzialmente rivoluzionario ed eccitante. In quanto tecnologia che solleva enormi domande esistenziali per la sua applicazione alla legge, al diritto d’autore, al lavoro e all’informazione/disinformazione e le cosiddette sfide ‘deep fake’ alla nostra realtà condivisa, sembra che siano necessarie protezioni e supervisione significative”.
La natura di queste protezioni e supervisioni non si palesa mai nei discorsi dedicati all’Intelligenza Artificiale. Perché di fondo non si sa, davvero, come muoversi. Il Sottosegretario di Stato Lucia Borgonzoni ha proposto ad esempio l’inserimento nei titoli di testa della presenza di intelligenze artificiali. “La sfida è la capacità di cogliere le opportunità che questa rivoluzione ci mette davanti senza farsi travolgere dai grandi pericoli che comunque sono insiti dietro quello che sta accadendo”, racconta Massimiliano Orfei, amministratore Delegato di Vision Distribution, sottolineando i pericoli per la produzione: “Uno strumento che potrebbe semplificare i processi produttivi ai danni dei produttori, e potrebbe risentirne la creatività, che è intimamente legato alla nostra natura di uomini”.
Alla luce dello sciopero in corso a Hollywood, può risultare spiacevole ascoltare la produttrice Lory MCrery mentre, sorridendo, racconta come il de-aging di Morgan Freeman le abbia permesso “di non usare un altro attore”. Ma oltreoceano, il tema è quantomeno una realtà sempre più tangibile. In Italia per molti settori è ancora una voce, un’onda gigante che si confonde per una nuvola all’orizzonte.
Il fondatore di Picomedia e produttore di Mare Fuori Roberto Sessa ammette che no, non è ora un tema che li preoccupa. “Capisco possa essere un problema e va gestito molto accuratamente” racconta. Secondo Orfei, il settore italiano non è pronto e rischia di essere travolto molto presto. “Non ho la sensazione che ci sia una particolare prontezza di riflessi in questo momento”. In qualunque caso, ciò che conta ora è vagliare ogni possibilità. Prendendo per buono tanto Prometeo quanto Pandora. Ma ancora di più, ricordandosi degli alieni di Hollywood. Che tendono a essere cattivi proprio quando li si pensa buoni.
Di Alessandro Cavaggioni
"Next Gen AI. Opportunità e lati oscuri dell’intelligenza artificiale nel mondo culturale e creativo" è il titolo della ricerca realizzata dalla SIAE con SWG e presentata dall'Associazione Civita
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