BARI – Nel nome della Dea dell’amore, nella terra di Sicilia s’intessono un senso possibile del femminile, l’apnea praticata e simbolica, la mafia e l’amore saffico. Questo il mélange che Stefano Lorenzi, regista, presenta nella Meridiana del Bif&st 2025, con Afrodite, protagoniste Giulia Michelini (Sabrina) e Ambra Angiolini (Ludovica).
Il fallimento del proprio mestiere, il debito con la malavita, il ricatto: un relitto al largo delle acque siciliane – tra Trapani e le Isole Egadi – porta il nome di Afrodite, e lì s’impone l’isolamento per Sabrina e Ludovica – sommozzatrice e istruttrice di diving, sotto il controllo del loro carceriere. Il bianco e il nero del femminile nella “claustrofobia” di uno spazio imposto si sfumano, colorando di tonalità più affini la solidarietà, la resilienza, l’opposizione all’oppressione.
Giulia, il personaggio che interpreta è stratificato, sembra infantile e empatico, poi si rivela essere molto altro. Com’è entrata nelle sfumature di una psicologia così complessa e come l’ha fatta incontrare con quella del ruolo di Ambra?
Noi due abbiamo preso le misure, poi ci siamo conosciute meglio: ci siamo fiutate un po’ sui modi di lavorare, su come approcciare, quindi credo sia stato un po’ un work in progress per quanto riguarda il nostro binomio. Sabrina ha un aspetto molto naïf, che forse mi apparteneva meno e forse sono riuscita a rendere meno perché lei è prigioniera del mondo in cui vive, attorniata da questo patriarcato, una forte mascolinità a cui s’adegua un pochettino: lei cerca di prendere la forma del contenitore dove viene inserita, probabilmente non sa neanche cosa ci sia fuori. Dopodiché, l’arrivo di quest’altra figura femminile cambia un po’ tutti i parametri, la fa scoprire anche di essere unica da un certo punto di vista e questa cosa la porta a voler indagare sul senso di libertà, sulle possibilità che la vita può offrirti. Lei cerca di uscire da questo suo microcosmo e inseguire una libertà che poi chissà…, però ci prova.
Con Afrodite si raccontano le vite a margine della mafia, le vite degli ingranaggi che non sono proprio diretti: il film è anche ispirato a un fatto vero e misterioso.
Per me era interessante non essere capo pilastro e quindi far parte di quelle piccole meccaniche che però muovono l’intero ingranaggio, perché questi piccoli vassalli sono poi quelli che mandano avanti il sistema perverso. È arrivato poco alla volta il messaggio, man mano, perché noi eravamo veramente segregati lì, abbiamo girato due mesi chiusi dentro, per cui ci arrivavano poche informazioni e queste poche informazioni per noi erano tutti comandi. Quindi, ecco l’idea di obbedienza, testa bassa, l’eseguire a prescindere compiti che non vengono neanche compresi per la gravità della loro attuazione. Sicuramente sono un corollario, però è molto importante come vengono raccontate queste vite ‘a lato’, perché poi sono preponderanti, sono molto isolate, molto ignoranti anche da un certo punto di vista, quindi un po’ mosse come burattini; la sensazione era un po’ quella di seguire un flusso, sia subacqueo che in superficie, eravamo soldati in questo senso, ci attenevamo a quello che ci veniva detto.
Il rischio del raccontare il femminile è quello della retorica, soprattutto se si sceglie di narrare violenza, vulnerabilità, ricatto. Stefano Lorenzi, secondo lei, ha schivato questi rischi? E in cosa emerge l’unicità della sua visione del femminile?
Sì, lì ha schivati perché credo che i personaggi non siano stereotipati per niente, né nella mia direzione, né da parte di Ambra, e nemmeno per quanto riguarda Gaetano, forse in scrittura era ancora più duro il suo personaggio ed è stato poi un po’ ammorbidito strada facendo: è stata forse una scelta meno banale, probabilmente, e Stefano ha saputo raccontare con grande delicatezza gli aspetti più intimi del mondo femminile, senza scadere nella banalità di questo amore saffico che veniva raccontato, seppur poi ha abbia poco di sessuale da un certo punto di vista, e quindi sì, credo che sia stato molto delicato rispetto a corde che non sono ovvie da parte di un uomo.
La relazione fra le due protagoniste è soprattutto un incontro fra anime.
È proprio un incontro di anime, loro si sono trovate, sono il detonatore di questo tritolo, loro si riscoprono e vanno avanti in questo canto di libertà che le riguarda singolarmente, poi alla fine anche in coppia. Sono assolutamente convinta che nella vita sia proprio così: ci si incontra, ma anche con gli uomini, non solo necessariamente tra donne, e penso possa partire prima un incontro di anime e gli innamoramenti vengono dopo; credo molto in questa cosa, tantissime volte mi capita di incontrare donne di cui m’innamoro in questo senso, costantemente.
Il corpo e lo sguardo femminili sono strumenti di racconto ma anche di resistenza, senza moralismi. Cosa questa storia le ha chiesto di mettere in gioco e di sfidare rispetto a queste meccaniche, che non le sono estranee nella sua carriera di attrice?
Lei non segue una sua morale, sicuramente è condizionata, è contaminata dal mondo in cui vive però arriva a un certo punto in cui capisce che non sia la cosa giusta e così comincia a prendersi questo spazio e questa libertà, una rivincita. Poi, fare la siciliana e dover essere sempre un po’ dimessa cozza con la forza di questo dialetto, con la grinta che ha questo dialetto, con l’aggressività alle volte che può uscire, quindi bisognava un po’ modellare questi due aspetti. Era difficile mantenere l’essere un po’ dimessa e trovare un termometro.
Per Sabrina, come si è preparata tra dialetto siciliano e immersioni subacquee?
Con il siciliano ci ho combattuto tantissimo perché non avevo capito all’inizio che fosse così stretto, pensavo più a un accento, una cadenza, pensavo di cavarmela con poco: ho avuto accanto una ragazza meravigliosa che mi ha aiutata, un’attrice ma anche una dialogare coach, Simona Taormina, che mi è stata appresso, molto appresso; è stato un lavoro molto intenso, abbiamo lavorato tanto sul testo, scritto quasi tutto in italiano per cui abbiamo rimodellato ogni singola battuta cercando di adattarla meglio a me: ho cercato di evitare quelle parole troppo difficili che mi avrebbero sicuramente smascherata, però è stato bello tornare ad avvicinarmi a questo dialetto perché io ce l’ho un po’ nel cuore, parlo del mio inizio carriera, quindi mi faceva piacere reimpastarci un po’ le mani. Per quanto riguarda le immersioni è stato un lavorone, nel senso che abbiamo iniziato tantissimi mesi prima di girare per prendere il brevetto: né Ambra né io l’avevamo per cui è stato complicato stare nei tempi per fare le immersioni sia in piscina che poi in mare aperto, è stato complicato. Io facevo le prove a lago di Bracciano, perché le prime prove non si fanno in acque libere, e il mio maestro di sub mi costringeva a un esercizio che comportava togliere la maschera e nuotare solo con l’erogatore, però nel lago c’è pochissima visibilità e un giorno è successo che io abbia bevuto: lì mi prende il panico perché non riesco più a respirare, vado in pappa e risalgo, solo 11 metri ma comunque non si fa mai, insomma mi prendo paura e salgo; in tutta questa storia io prendo un batterio, mi viene una polmonite bilaterale e, a un mese prima all’inizio del film, comincio a fare sangue dai polmoni, tossisco e faccio sangue, così vengo ricoverata, mi proibiscono di fare immersioni, sembra che il film salti, invece ho preso i miei antibiotici, ho calmato tutti e ci sono riuscita. Ho combattuto molto per queste immersioni perché questo film mi attirava proprio per tutto questo aspetto subacqueo, ma io ho paura, lo sapevo già che avevo paura, da sola non l’avrei mai fatto, invece se costretta, seppur abbia sofferto un po’ di attacchi di panico, e così mi si è aperto un mondo che ho adorato, tanto che poi ho fatto altre immersioni per conto mio, mi sono appassionata.
Di Sabrina colpisce l’evoluzione: lei parte da questa femminilità un po’ rude, un personaggio con poco trucco, che rappresenta la sua essenza, e va verso un cambiamento, un viso più morbido, dovuto principalmente all’amore. Si può intendere questo sentimento anche come libertà?
Assolutamente sì, sono d’accordo sia un inno alla libertà, alla ricerca di sé, alla presa di coscienza, perché poi Sabrina un po’ questo fa: è come se lei all’inizio non avesse percezione della persona che era prima, per cui schiacciava la sua femminilità, adeguandosi ai canoni ai quali è stata abituata, ma poi c’è una riscoperta del sé, c’è una riscoperta che può partire anche dalla sessualità come dall’infatuazione emotiva verso qualcuno, dall’intrigo, dalla curiosità, che innesca la voglia di scavarsi sempre un po’ più a fondo, di conoscersi sempre un po’ meglio, cosa che pian piano le fa alzare un po’ la testa e le fa capire che anche lei abbia una voce.
È la prima volta che ha lavorato con Ambra, ma la coppia risulta ben assortita, seppur siate molto diverse, anche rispetto alle carriere.
Ci siamo conosciute un po’ alla volta perché Ambra non si dà subito, ma nel momento in cui ci siamo sciolte ci siamo trovate molto bene, abbiamo trovato una sintonia che andava al di là del set, siamo uscite molto spesso insieme, passavamo pomeriggi in barca quando eravamo libere, per conoscerci, per stare tra donne, che era la cosa che ci faceva star meglio, e abbiamo sicuramente preso le misure strada facendo perché poi, quando lavori con una persona nuova, devi sempre capire dove puoi arrivare, cosa puoi fare. Nel film abbiamo anche degli avvicinamenti…, però lei è stata sempre molto accogliente, molto disponibile, mi ha fatto sempre sentire molto a mio agio. Io sono partita molto preoccupata da tutta questa nudità, ma Stefano ci teneva a tranquillizzarmi che sarebbe stato tutto molto delicato e non gratuito, però girando questa percezione non ce l’hai mai veramente, ma voglio spezzare una lancia in suo favore, perché si è mosso veramente in punta di piedi in questo mondo femminile, dell’erotismo femminile, anche esteticamente le scene erano composte con gusto.
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