Arriva in sala il 4 aprile, con super-prima a Roma preceduta da un concerto dei Modà , che hanno curato la colonna sonora, Bianca come il latte, rossa come il sangue, il film di Giacomo Campiotti che traspone al cinema il best-seller di Alessandro D’Avenia. 300 le copie previste da 01 per la distribuzione che però, come afferma il direttore Luigi Lonigro, “potrebbero aumentare data l’accoglienza calorosa che già si respira attorno al film”. L’evento Modà, tra l’altro, sarà trasmesso via satellite a 240 sale in tutto il paese.
Bianca come il latte, rossa come il sangue è, prima di tutto, un film che parla di adolescenti in maniera diversa da come li racconta – ad esempio – Moccia. Leo (Filippo Scicchitano) ha 16 anni e il più grande ‘dramma’ che nella vita gli capita di affrontare è trovare il modo di dichiarare il suo amore a Beatrice, la ragazzina che gli piace (Gaia Weiss). Per la prima mezz’ora siamo in piena commedia giovanile, stile ‘ragazzi del muretto’: c’è l’amica segretamente innamorata (Aurora Ruffino), il compagno di mille avventure (Romolo Guerrieri), due genitori apprensivi ma amorevoli (Flavio Insinna e Cecilia Dazzi), infine un prof. moderno e simpatico come Luca Argentero. Il registro cambia decisamente di tono quando Leo, dopo essere riuscito finalmente ad avvicinare Beatrice, scopre inaspettatamente che lei sta vivendo un dolore più grande della sua età. Di fronte a una tale sofferenza, Leo è costretto a crescere e a fare delle scelte che non si sarebbe mai aspettato di dover affrontare.
D’Avenia, autore del libro che sceneggia anche, insieme a Fabio Bonifacci, questi giovani li conosce bene, dato che la sua principale attività è quella di insegnare in un liceo di Milano. Il film e il libro sono in qualche modo autobiografici e il personaggio di Argentero è sostanzialmente la sua controparte: “Per prepararmi – racconta l’attore – sono stato qualche giorno in classe con Alessandro e ho potuto constatare quanto lui sia appassionato in ciò che fa. Per questo i ragazzi lo seguono, se ti mostri annoiato nell’insegnare non puoi pretendere di attirare l’attenzione degli altri. Questa è la base del lavoro di ‘educatore’, termine che preferisco a quello di ‘professore’ perché si interagisce con giovani in una fase di formazione, il che implica enormi responsabilità: chi è in cattedra non si può permettere dubbi o insicurezze, perché il dubbio genera sfiducia. E’ stata una bellissima esperienza a parte l’amara constatazione di non essere più contattato per ruoli da studente, ma per ruoli da genitore o professore”.
“Già – fa eco scherzando D’Avenia – intanto è stato un dramma gestire la reazione delle mie colleghe quando hanno saputo che Luca sarebbe venuto con me a scuola, molto peggio delle studentesse. A parte tutto, per un giorno ho avuto tutti gli occhi puntati addosso e mi sono potuto illudere che il motivo fosse quello che stavo spiegando. Questo libro è nato proprio con i miei alunni: l’ho fatto leggere a una classe in primo ginnasio quando erano ancora poche pagine spillate e messe insieme con la fotocopiatrice della scuola. Alla prima del 4 aprile porterò con me a vedere il film proprio quella classe, che quest’anno affronta la maturità, questa coincidenza è un magnifico regalo. Molti personaggi e molte situazioni nascono proprio dai loro suggerimenti. Era un’idea piccola piccola, proprio come loro quando sono in prima liceo. E ho portato entrambi, ragazzi e libro, alla maturità”.
Suggerimenti che D’Avenia raccoglie anche sul suo seguitissimo blog, Prof 2.0: “Per capire se i primi fruitori del libro si sarebbero ribellati ai necessari cambi sulla storia – prosegue il Professore – Bonifacci mi ha ‘cacciato’ ed è andato a pranzo con i miei alunni. Sto raccogliendo alcune delle lettere più belle che mi arrivano sul blog e forse ne farò un libro. In molte di queste i ragazzi parlano di Dio. Penso sia un argomento che condividiamo tutti, la domanda c’è, ma spesso è soffocata da pretese ideologiche: ma cosa resta di Dante, DostoevskiJ, Shakespeare se togli la parola ‘Dio’? Perfino gli dèi, scritto in minuscolo, dell’Iliade e dell’Odissea sono fondamentali. Anch’io ho vissuto un’esperienza simile a quell’età e tutto nasce dal tentativo doloroso di fare a botte con la morte e capire se qualcosa si salva o se è un naufragio totale. Mi avevano raccontato che Dio ci amava, ma a me non sembrava. Il racconto è la confessione di una lotta con Dio”.
“Quando il mondo trema – dice il regista Campiotti – le persone cercano valori più profondi. Se la domanda è più alta, sarà più alta anche la risposta, e di fronte alla morte e alla malattia, a meno che non ci sia un processo di totale rimozione, non si può fare a meno di porsi le classiche domande: ‘dove vado, da dove vengo?’ Anch’io ho studiato pedagogia, ho dei figli, e in generale posso dire che gli adolescenti mi stimolano molto più degli adulti, e sono migliori di come fin troppo spesso li si rappresenta”.
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